… destinazione paradiso, paradiso città! … - di Francesco Briganti

10.02.2015 07:39

Il quando preciso dell’essermi accorto che di me non gli ne fregava nulla a nessuno non saprei dirlo; certo è che da quel momento metri cubi d’acqua a miliardi ne sono passati sotto i ponti. Quando ho realizzato che il mondo raccontatomi dai miei genitori non era che una favola ottimistica di una visione affatto reale del divenire non ho tardato che qualche istante ad adeguarmi; perciò, verificato che l’importante nel gioco della vita non è l’avere carte buone o cattive, ma è il saperle giocare al momento giusto, oramai tutti i danni che potevo subire li avevo già subiti e, dunque, quel poco, sano, lucido, perfido cinismo che occorre per sopravvivere è diventato la malta necessaria per costruirmi attorno quel muro a difesa, tanto indispensabile quanto salvifico.

Parte preponderante di questa difesa è lo scrivere. Meglio è ancora il farlo, sbattendo in faccia a chiunque abbia il tempo, la voglia e la curiosità di perderci del tempo nel leggere, in maniera a volte sottile, a volte cruda, a volte persino maligna quella realtà che ai più non piace e che quegli stessi, maggioranza silenziosa, vociante o urlatrice che fossero, più negano a sé stessi convinti che così facendo essa non potrà toccarli, da essa non saranno colpiti, e che la stessa macellerà chiunque altro, ma non loro. Il silenzio, il tormento soliloquiale, l’ululato alla luna come sostituto dell’impegno, della responsabilizzazione in prima persona, come rinuncia, come riflessione che assolve, come protesta e delega rispettivamente degli uni, degli altri, di ognuno.

Voglio raccontarvi una storia: c’era una volta un maestro zen che girava per il mondo con un suo discepolo ad insegnargli la vita. Un giorno capitarono in un villaggio, povero nel suo insieme, sperduto tra i monti, malmesso nelle costruzioni, dove le persone tiravano la vita in ossequio al semplice fatto di respirare. Guardatosi attorno, il maestro indicò al discepolo la casa che più mostrava i segni del tempo, della rassegnazione, dell’abbandono ad un destino fuori controllo. Vi chiesero ospitalità e venendone accolti trovarono che l’unica risorsa, una vecchia mucca da latte, avrebbe sfamato loro così come appena riusciva a sfamare gli ospiti che li avevano accolti. Il maestro si spese in ringraziamenti, dopo la frugale cena dispensò un po’ della propria saggezza e, quindi, tutti se ne andarono a dormire nella apatica attesa del giorno seguente. Di buon’ora, mentre ancora era buio e tutti dormivano, maestro ed allievo, ripresero la propria strada a vagabondare non senza, prima e però, di aver sgozzato la mucca. Al discepolo che gli chiedeva perché avesse fatto una tale cattiveria il maestro rispose semplicemente: “ … un giorno capirai … “. Passarono anni e poi così come vuole quel dio che tutto sa e sempre si diverte nel sapere e lasciar correre ogni cosa, il maestro ed il suo discepolo ricapitarono in quei luoghi e cercarono la casa che tanto tempo prima li aveva accolti ed ospitati. Il paese sembrava cambiato, le strade non più fangose, aiuole da per tutto, gente linda e ben vestita circolava con in una atmosfera rilassata e l’aria a respirarsi era quella di una comunità in via di realizzazione. “ Raccontami “ disse il maestro al suo antico e ritrovato ospite. “ Vedi … “ rispose questi con fare soddisfatto e quasi felice, “ … dopo la tua partenza, ci accorgemmo che qualche delinquente ci aveva ammazzato la mucca; all’inizio ci disperammo, tememmo di morire, avevamo perso ogni nostro sostentamento …; poi, mangiatane una parte, il restante l’abbiamo scambiato con attrezzi e semi; ci siamo impegnati e con quelli abbiamo ricavato dei frutti i quali ci sono serviti per aumentare gli scambi e per stare meglio; il nostro esempio è stato seguito da uno, poi da due, poi da più ed alla fine tutti ci siamo resi conto che ci stavamo lasciando morire di inoperosità ed ignavia. Quella mucca, quella unica mucca, quella unica risorsa che ciascuno nel villaggio possedeva, era, per ognuno, la rovina e non la salvezza …”. Il maestro allora sorridendo fece un cenno di intesa al discepolo ed entrambi si sedettero con l’ospite e la sua famiglia al più bel desco cui fossero stati invitati dal inizio del loro vagabondare.

Quanto questa storia serva a me o consenta a me di vivere una vita più felice attiene al mio privato e poco importa a chi legge; quanto questa storia possa servire al privato di ciascuno di coloro che si spenderanno a leggerla attiene al privato di ognuno ed a me poco importa giacché io sono per il detto latino “ homo faber fortunae suae”, ma che essa sia esplicativa della nostra società non è una ipotesi è un dogma dal quale ciascuno dovrebbe trarre una sincera riflessione.

Onestamente e, per quel poco che questo significa per ciascuno, io non so se scriverò ancora qualcosa su questa pagina; mi sento stanco e solo; mi sento deluso e perso; avrei cose molto più importanti da portare avanti per sopravvivere.

Qualcuno mi ha accusato di essere un edonista, di provare piacere nel gustare un seguito che meraviglia me per primo; forse è vero, forse io non sono altro che un vanaglorioso parolaio che trova nel saper mettere una dietro l’altra parole sia per iscritto che verbalmente la propria realizzazione e, dunque, è probabile che io ricada nel mio peccato già da domani, ma quello che CIASCUNO DI VOI DEVE SAPERE è …

CHE NESSUNO FARA’ PER VOI se non sarete VOI STESSI A FARE!.