… il mio nome è nessuno … - di Francesco Briganti

09.02.2014 10:22

Una suola lisa, un gradino viscido di pioggia, un fretta inconcepibile se non si conosce quale può essere l’ansia di un momento ed ecco che un crociato anteriore stanco di sessant’anni di maltrattamenti ti dice addio con una acuta staffilata di dolore che ti lascia senza fiato, sbattuto e vuoto, come una nave fantasma alla deriva da e per ere geologiche. Poi, il tempo ricomincia a scorrere, lascia alle spalle i dinosauri, i romani, il grande Colombo e ti ritrovi nel tuo presente mentre quella staffilata si è trasformata in chiodo sordo e cupo che mastica ed ingoia le tue cartilagini accompagnandosi a lacrime involontarie e sconsolate che ti scendono lungo un viso pallidamente arrossato. Respiri, piano, con circospezione, aspettando che qualcuno ti aiuti e ti permetta di toglierti da quella ridicola, scomoda, dolorosa posizione.
Intelligenza fisica e assicurativa consiglierebbero una corsa in ospedale; una visita accurata e le terapie e le denunce del caso. Ma puoi permetterti i tempi e le attese dell’una e dell’altra, rimborsi compresi?; gli impegni premono, il lavoro chiama, e finché ci sono, entrambi hanno la precedenza; stringi i denti e torni, come puoi, mogio, sconsolato e ringraziando per quest’ennesimo regalo, a casa. Qualche momento di riposo e che il crociato si fotta: per il tuo deambulare quotidiano, sano, lesionato o rotto che sia, si adatterà come e con tutto il resto.
Adesso sei seduto lì, sullo scoglio della tua fantasia a guardarti quel mare sintesi della umano divenire. Dove grigio e tenebroso di nuvole basse, pregne e in attesa di dare voce ai miliardi di figlie a scendere leggere o come bombe deflagranti, dove azzurro e riverberante di quegli scintillii di sole che bucano le palpebre, offuscano le iridi, stringono le pupille ed allargano il cuore. Ed il vento che ti aggredisce il viso, scompiglia i capelli si infiltra dentro le maniche, giù per il collo, su dalle caviglie e ti accappona la pelle, ti schiarisce il cervello ti parla di quella libertà animale, di quelle sensazioni selvagge volanti sul profumo iodato, nel sapore del sale, con gli schizzi gelidi di schiuma quando le onde si affrontano, si sposano, divorziano aggredendo, solitarie o in branco, quel molo onirico supporto e compagno al tuo dolore. O la brezza, quella melliflua, suadente, carezzevole alito che scivola lascivo attraverso i pori, che si sofferma sornione sulla pelle ambrata dal sole, che sussurra alle orecchie, parlandoti sotto il naso, sulle labbra, di sirene ammalianti e dal canto illudente e amnesico che ogni cosa lascia alle spalle eccitandoti oltre il tuo volere fino a quasi essere tanto imbarazzante quanto inconsapevole.
Comunque, navi in lontananza lasciano scia di avventura mostrandoti sogni di posti lontani da cui sono partite o ai quali devono approdare; e le storie degli uomini persi sopra e sotto quei ponti, ad allontanarsi malinconici o in avvicinamento impaziente da ed a quegli amori, quegli affetti separarsi dai quali, ogni volta, è come se fosse la prima. Ed i gabbiani a solcare le vie del cielo pigri nel lasciarsi cullare da un Eolo compiacente o affaccendati in uno sbattere d’ali combattere una bonaccia persistente. Gareggiano, si lanciano l’uno contro l’altro in attesa di virate improvvise ad allontanarsi o avvicinarsi per poi scendere in picchiata sorvolando a pochi centimetri quel mare cobalto, distaccato spettatore di così naturali acrobazie; ogni tanto tuffandosi per un pasto veloce corroborante e proteico a rinverdire ogni forza, a lenire stanchezze a consolidare la gioia di essere, anche se inconsapevoli protagonisti, vivi di una vita di un oggi senza un domani in un perpetuarsi costante dell’ieri.
Ed poi il sole, il cielo, la scia di un aereo così lontano ed in alto che è più facile da sentire che da vedere intercettato e compreso in un rombo continuo compagno di uno sguardo perduto alla sua inutile ricerca essendo in futuro visivo già oltre il tuo acustico presente. Rombo, cupo e sordo come quel chiodo doloroso che ti sembra avere nel ginocchio, che stride come un unghia si di una lavagna ad ogni movimento, che figlia sudore gelido ad ogni resipiscenza cosciente che il tuo divano non è uno scoglio ed il televisore non è un orizzonte. Ma serve!, serve lasciarsi andare ai sogni ed alle visioni; serve dimenticare il dolore e rafforzarsi in esso, sapendo che solo così si potrà continuare in avanti sino a vincere ed approdare nella propria, sperando comune, Itaca felice.