… a modo tuo … - di Francesco Briganti

22.10.2015 14:30

Si ragionava, ieri e con una persona a me cara, lungo la strada di un ritorno verso casa dopo un turno di lavoro, di quanto effimera fosse ogni cosa quando fosse rapportata alla eternità del tempo così come noi tutti lo intendiamo. Immaginare un attimo, in cui dal nulla ed ex abrupto, tutto cominci, è difficile per chiunque esattamente come si tende a scacciare dal proprio sentire un altro possibile attimo in cui tutto ed all’improvviso finisca; quindi, la percezione più comune per ognuno di noi, a pensare razionalmente, è che il tempo non abbia avuto inizio e non avrà mai fine; sia, perciò, eterno.

Dunque l’eternità del tutto, per quanto ogni cosa di quel tutto, considerata a sé stante, abbia, invece, un inizio ed una fine: non scelta la prima, possibile scelta la seconda. Nell’insieme di questo nostro dire compariva, improvvisa, la considerazione che fermo restante il concetto di eternità, la vita di ognuno poteva indirizzarsi secondo due alternativi parametri: a) quello a definire un criterio di importanza da conservare e seguire e b) quello della caducità e della non importanza di ogni cosa in un contesto infinito.

Al succo il discorso era questo: considerato pari a zero l’attimo, per quanto lungo esso sia, di una vita, durante quest’ultima, occorre dare rilievo, precedenza, rispetto, considerazione, attenzione, amore e dedizione alle cose che consideriamo importanti?, oppure e proprio in ragione di quell’infinitesimo attimo di eternità che chiamiamo vita è meglio non considerare nulla COME importante, nulla come precedente ad altro, nulla dal valore tale per cui amarlo, rispettarlo, averne cura ed attenzione?. In un doppio concetto:

COGLIERE L’ATTIMO ed ESSERCI purché sia quel che sia
o
COSTRUIRE L’ATTIMO e diventare progettista e fruitore di un ESSERCI derivato dal “ te “ per quanto è possibile?!.

Dalle due possibilità deriva una interpretazione del concetto di “compagnia”, di cammino comune, di vita insieme ed assieme, a presentarsi con due possibili facce alternative tra loro: una egocentrica ed egoistica e l’altra, forse ancora ed in quota parte egocentrica, ma assolutamente disponibile ed altruistica.

La prima inquadra chi vive la vita come se non avesse quel valore aggiunto che deriva dalla autocoscienza del sé, dalla dignità intrinseca di ogni uomo, dal rispetto del sé e dunque degli altri. Ogni cosa, perciò, diventa fattibile, ogni cosa è figlia del momento, non esiste nulla ad offendere, nel dare e nel ricevere, non esistono importanze o precedenze o canoni da rispettare nel porsi al tutto ed agli altri se non quelli dettati dal “ io sono io e così è!, se vi pare … ! “.

La vita alla ringhiera di un terrazzo al di sotto del quale tutto scorre come vicenda impalpabile che non lascia tracce e non costringe a prendere posizioni: tu altro da me ci sei, ma se non ci fossi, per me sarebbe la stessa cosa!. L’ ESSERCI fine a sé stesso!.

L’atro tipo di egocentrismo è mitigato da una visione corale e cosciente del tutto: “ … io ci sono, sono importante, ho un mio valore intrinseco, ma riconosco tutto ciò anche ad ognuno degli altri al mio di fuori “.

Ed è su queste persone che nascono poi i consessi civili, le società, il progresso comune; in queste persone si realizza l’evoluzione del particolare e del generale; è in loro che la “specie uomo” passa dallo stadio animale a quello UMANO.

Spiegare ulteriormente questa affermazione sarebbe secondo me pleonastico oltre che inutile; giacché questo è un riconoscersi, UN AVER COSCIENZA DI SE’ STESSI che o è presente nella persona oppure non lo è e tale mancanza renderebbe inutile ogni forma di coinvolgimento, ogni tentativo di accorpamento, ogni condivisione con chi ne è privo.

Perciò ed ancora una volta L’UOMO e la SUA UMANITA’. Siamo quel che siamo …

ma è una scelta, NON UN DESTINO!.