... 19.000.000.000 … - di Francesco Briganti

01.07.2015 07:42

Scrivevo ieri che la situazione greca in ultima analisi non ha soluzioni; o meglio, inaudibile dictu, ne avrebbe, ma tali che non possono nemmeno essere elencate senza provocare un infarto al cravattaro europeo di turno atteso a contare i propri mucchietti da trenta denari l’uno. In fondo, però, diciamocelo una buona volta, a ciascuno di noi quale che sarà la fine della Grecia, dei nostri fratelli greci, importa il giusto; quel tanto, cioè, che ci permette di smettere di pensare a quella infima condizione alla quale anche noi siamo destinati, in un futuro più o meno vicino, e per la quale allo stesso modo non esistono soluzioni, stante questa Europa, dirimenti.

Star qui a ripetere delle ingiustizie e dei favoritismi a cui alcuni sono avvezzi nel mentre che ad altri sono negati è pleonastico ed inutile sopra tutto quando chi ascolta e potrebbe, spezzandole, liberarsi dalle catene preferisce tirare a campare nella speranza di un miracolo divino.

A noi, ITALIANI, dovrebbe interessare dell’Italia. Il condizionale è d’obbligo e non sarebbe necessario se e quando nominando l’Italia si parlasse di una nazione, di uno stato, di un paese coeso ed abitato da un popolo avvezzo alla difesa dei propri diritti ed alla ossequiosa esecuzione dei propri doveri. Viceversa, “questopaese” è una landa, piace il termine esterofilo?, in cui i diritti sono quelli che si riescono a strappare, fosse anche di straforo, ed i doveri sono quelli che non si riescono ad eludere.

Ognuno, quindi, non ha più diritti e non si riconosce più doveri. Il caos è generalizzato a sistema sociale, politico e morale, e tutti si alzano al mattino tirando una sera a venire percorrendo una giornata la meno esasperante possibile. Tutti sono alla ricerca della scappatoia estemporanea che permetterà loro di affermare: “ … anche per oggi ce l’ho fatta!”. Non c’è chi faccia eccezione giacché dal ricco al povero, dal eccellente al meschino attraverso i milioni di mediocri esistenti, ciascuno, a sera, brinda per essere riuscito a sopravvivere un altro giorno.

Nello scrivere la prossima legge di stabilità occorrerà inserirvi le coperture necessarie a coprire ulteriori diciannove miliardi di euro; utilizzando il metodo della lavandaia, ciascuno di noi, compresi moribondi e neonati, si troverà appesantito da un ulteriore debito di circa tremila euro e, bastasse questo, ci si potrebbe rassegnare per amor di patria e, decisa la mano al portafogli, fare di tutto per pagarli. Non basta, però, giacché a questi soldi occorrerà aggiungere quelli a copertura delle scadenze internazionali e quelli, improvvisi, derivanti da ulteriori sentenze di incostituzionalità o dalla mancanza di incassi previsti e non realizzati e/o da ulteriori spese assurde a cui questa politica mai riesce a porre un calmiere. Dunque, piaccia o meno, La Grecia al nostro confronto, è un Eden paradisiaco nel quale trasferirsi in attesa per vivere in prima persona ed in anticipo quell’agonia a cui baldanzosamente stiamo andando incontro.

Il popolo di un paese in siffatte condizioni, fosse anche solo immaginificamente intelligente, ne prenderebbe atto e pretenderebbe dai propri governanti non quelle soluzioni atte a prolungarne una dolorosa agonia, ma quelle altre che, parimenti dolorose e struggenti, gli consentissero non più di vivacchiare, ma di lentamente rinascere: aumentare il debito sforando i patti di stabilità internazionale, stampare moneta così come hanno fatto gli americani, dilazionare a tempo indeterminato i pagamenti, incentivare gli investimenti, impiegare forza lavoro, retribuendola il giusto, nei campi più diversi e produttivi. In un concetto solo ridistribuire ricchezza come se piovesse manna dal cielo.

L’inflazione che ne seguirebbe, calmierebbe i prezzi, dopo una primigenia risalita degli stessi, predisporrebbe l’animo ad una spesa più tranquilla per ognuno, farebbe sì che il prodotto nazionale, quel made in italy di cui parleremo poi, fosse più appetibile al estero e ristabilirebbe quella dignità personale di ognuno e quella delle imprese ora più abbandonate a far sì che la lotta quotidiana fosse in salita verso il cielo e non in discesa verso l’inferno.

Occorre comprendere, alla faccia di ogni Solone che si appiattisce sul “così vuole l’europa” o sul “non si può fare altrimenti” che non si cambiano le regole a determinare una disfatta seguendo stupidamente proprio quelle regole per ovviare a quella disfatta. Oppure si tace …

e con estrema rassegnazione si attende il becchino!.