Amarcord … - di Francesco Briganti
Tranne scrivere e molto raramente dipingere, entrambe le cose senza eccessiva maestria, quasi mai faccio qualcosa per il semplice gusto di farlo; quindi anche la mia passeggiata mattutina, quasi un paio di kilometri tra andata e ritorno al e dal mio bar preferito ha lo scopo principale di mantenere in esercizio la mia circolazione e l’afflusso di sangue ad un cervello tendenzialmente alieno dalla troppa fatica. Percorro una strada lunga che si articola tra villette e campi coltivati, tra lontane fattorie e boschetti cedui improvvisi, affiancando canali di irrigazione e gore di beveraggio per mucche e cavalli in siesta o semplicemente assetati: un andare piacere degli occhi, dell’anima e del loro essere umanamente insieme.
Il sole, spuntando dalla collina ad est, non ha come bersaglio immediato la strada, colpisce tra i primi i comignoli più alti, quindi i tetti e solo dopo scivola tra le case e gli alberi per riscaldare ed asciugare l’asfalto umido notturno e, d’inverno, sciogliere quel manto di brina che biancheggia il verde dei prati. C’è un punto strategico, però, ad angolo tra il sentiero, aspirante al grado di interpoderale e che sale su per la collina e un segmento di via che scende giù sino alla provinciale in cui l’astro nascente batte i suoi primi raggi ed è lì che mi fermo in attesa quasi ogni mattina ed è lì che Pippo, il maremmano nero della decana tra gli autoctoni, mi aspetta per ricevere, secondo a Doug, il suo pezzo di pane d’uro mattutino. Aspettp guardando il declivio e mi godo quel calore improvviso che piano a piano nel mentre che si ingegna ad abbagliare la vista sembra riportare al calore dell’autocoscienza il mento, le guance e la fronte intorpidite dall’impatto con il gelo mattutino. Mi crogiolo quei tre quattro minuti come lucertola bisognosa, poi, caracollo soddisfatto, e se l’avessi, scodinzolando felice la coda vero il bar di Tiziana.
Il Lucky bar è un ritrovo sovversivo eversivo godereccio. Mai maggiore assembramento di rivoltosi ebbe una dimora così manifesta e pubblica ed allo stesso tempo chiusa alle nuove facce che, inattese, capitassero per un caffè, un cappuccino o un maritozzo adescatore e ammaliatore. Quale che sia la discussione in atto tra gli avventori, spesso lite bonaria, quando non proprio scambio feroce di invettive con una maremma che passa dall’essere una invereconda maiala al grado di meretrice e ballerina, viene interrotta ex abrupto per immergere il tutto nel silenzio più ostile sino al pagamento del dovuto ed all’uscita dello straniero: il motto, mutuato, dal ventennio l’odioso ventennio, è: “ taci il nemico ti spia”.
Elencate le ovvietà più normali e le progettazioni più risolutive di ogni problema, vi albergano le strategie più cruente e deleterie; si passa dalla protesta fiscale, all’azzeramento fisico della classe dirigente locale; dal rapimento dell’uomo politico responsabile dei disastri dell’ultimo ventennio, tiziana offre spesso la sua cantina come prigione al grido di: “ … tanto è piccolo, ci sta …”, alla scelta dei ciliegi più alti cui appendere di volta in volta il compagno (sic!) traditore del Pd, quel bigotto e fariseo del Giovanardi, quel lecca deretani ex radicale o quel mafioso di … e di … e di … o quell’altro delinquente di … e di … e di … e poi ci si accorge che non basterebbero le acacie presenti ed allora si scoppia nella risata liberatoria, sfogo e calmiere della giusta rabbia ed indignazione esattamente nel mentre che il primo dei tanti a seguire si accorge che è ora del suo andare incontra alla routinante rivoluzione giornaliera del portare a casa un pasto per la famiglia e quel guadagno da versare agli sceriffi di Notthingham, sempre in attesa con la mano a conca, necessario alle maledizioni ed alle incazzature della mattiniera rivoluzione del giorno dopo.
Ad uno ad uno si esce e si va; ciascuno per la sua via, ciascuno ai suoi impegni e professioni, ciascuno perso tra i propri problemi, scadenze, affanni, ambasce e … speranze; mentre altri ne prendono il posto rinnovando un ennesimo uguale seppure differente circolo di stanziali rivoluzionari in attesa, anch’essi, di partire per la personale e quotidiana fatica di Sisifo.
Lentamente me ne ritorno vero casa non senza soffermarmi al mio angolo preferito; qualche altro minuto di “assoleggiamento” a riscaldare un corpo e la mente e poi, anche io in macchina verso questa o quella città meta dei miei appuntamenti e fine dei miei successi o insuccessi a venire.
In questo grande piccolo paese che è l’Italia, ci sono forse troppi o troppo pochi “LUCKI BAR” perché rispettivamente e, comunque, in entrambi i casi non bastano a dare corpo ad una protesta e ad un’azione coordinata ad una protesta efficace e fattiva o nel caso opposto costruiscono, per numero sufficiente alla bisogna, ad essere quella valvola di sfiato necessaria a non portare al punto di scoppio la pentola a pressione dell’insoddisfazione generale e l’indignazione generalizzata.
Nei Lucki bar non hanno presa, se non per il tempo necessario a conoscerli ed a riconoscerne l’inutilità, i profeti ed i finti rivoluzionari; in questi bar si è a contatto con il quotidiano e per i suoi problemi si hanno quelle soluzioni immediate, logiche e facili da buoni padri di famiglia applicando le quali si potrebbe quanto meno alleggerire ogni situazione al limite; è forse nel Lucky bar che bisognerebbe rifondare ogni scuola di partito e forse, dico forse, la situazione di questo paese riuscirebbe a ridiventare quella di un PAESE NORMALE.