… amarsi un po’ … - di Francesco Briganti

27.03.2014 14:26

Nella Bibbia c’è scritto: “ … non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te … “. Affinché ciò che sto per dire non venga etichettato dai soliti teorici soloni come un esprimersi da baciapile catto-comunista, o poco o per niente comunista, anche se io non cattolico in senso letterale, ma cristiano e comunista lo sono, preciserò che in tutte le religioni più importanti e seguite si ritrova lo steso invito.
Così accade nel Islam dove è detto: “ … nessuno di Voi è credente se non desidera per il proprio fratello ciò che desidera per sé stesso …”; e di altrettanto accorato e profondo si trova nel Confucianesimo, nell’Induismo, tra i Giainisti e nell‘Africa nera dove tra gli Yoruba, in Nigeria, esiste un proverbio che afferma: “… chi sta per infilzare un uccellino con uno stecco appuntito, dovrebbe prima provarlo su sé stesso per vedere quanto fa male …!”. Perciò la considerazione, nel rispetto e nella preoccupazione dell’altro da sé, sembrerebbe essere congenita nella natura dell’uomo.
Duemila e rotti anni fa, un uomo divenuto Dio per la propria fede senza esserlo o essendolo per ascendenza e genìa, ribaltò tale concetto e trasformò una forma, in qualche modo passiva in attiva : “ … fate agli altri ciò che vorreste gli altri facessero a Voi …”. Superficialmente la stessa cosa, e quindi comune a tutti, ma con un minimo di riflessione, è facile capirlo, si passa dal non fare il male al fare del bene ed in questo passaggio c’è un abisso di differenza.
Da sempre sostengo che il Cristo è stato il primo rivoluzionario e comunista della storia e che la Sua chiesa, spesso e volentieri, non se ne sia dimostrata degna, fatte ed ammesse le dovute e innumerevoli eccezioni non è prova contraria. In quanto comunista e, poi, profeta di una nuova religione, Gesù si batteva per i deboli, i poveri ed i diseredati; predicava la salvaguardia dei diritti e dei doveri: “ … date a Cesare quel che è di Cesare …”, invitava alla strada della comunanza e della socialità intesa come ridistribuzione delle ricchezze “ … ed a Dio (anche inteso come genere umano) quel che è di Dio …” ed alla operosità fattiva, costruttrice ed utile ad ognuno ed a tutti; predicava la lotta e la sofferenza per riuscire: “ ... vi tolgo la pace, vi dono la mia pace …!”. Lo faceva in nome di un dio in cui credere e non in nome di un filosofo, ma sopra tutto lo faceva in nome dell’amore: dell’uomo per l’uomo e dell’uomo per il mondo che lo circondava.
Se tutto ciò ha una logica o può avere un senso, allora mi si dovrà concedere il dire che l’amore è al fondamento dell’azione di ogni compagno che abbia rispetto di sé e degli altri; di ogni compagno che creda nell’uguaglianza e nella giustizia per ciascuno e per tutti; di tutti i compagni che sanno che lotta di classe non deve solo voler dire operaismo, o corporativismo di specie quale che sia, ma dovrebbe significare pari opportunità, nei diritti e nei doveri, senza distinzioni di ruolo e senza catalogazioni ad escludendum; di tutti color che capiscono che il dichiararsi quale “ compagno “ non dovrebbe essere fonte di distinzioni speciose tra gli stessi, ma, piuttosto, ricerca e scoperta ed esaltazione di quei valori comuni(sti?) a tutti e, perciò, fonte di unione programmata, programmatica e tesa ad un miglioramento generale e diffuso.
Conoscere l’opera di Marx, a memoria o per profondo e meditato studio, non fa di un compagno un soggetto migliore o più importante di un altro il quale non abbia quel tipo di conoscenza; ancora e di più, quando il primo, e/o anche il secondo, separatamente o insieme, avessero nei fatti il peccato originale di una proprietà, non importa di cosa e/o da quando, alla quale non intendono rinunciare nel rischiare di perderla mettendo in uso non la teoria, ma la pratica della lotta per la conquista e l’emancipazione di tutta intera una società.
“ L’amarsi un pò “, è vero, ha una duplice accezione: dell’uomo per sé stesso e dell’uomo verso l’altro uomo; quindi una forma egoistica ed una altruistica; ma basti pensare a quella affermazione invito a fare agli altri ciò che si vorrebbe fatto a sé per capire come la prima diviene immediatamente succedanea della seconda e mai viceversa.
Alla fin fine, il bene generale, quello vero, quello che non va a discapito dei soliti nomi ed in un ragionamento più ampio, a discapito di nessuno se inquadrato in una vera azione politica giusta ed equà, non è altro che il nostro stesso bene e il detto “gli altri siamo noi” lascia il suo facile ruolo di ovvietà per divenire l’unica possibile filosofia di vita.