… aspettando Godot … - di Francesco Biganti

22.02.2015 09:43

In una mattina di fine febbraio, dopo una notte abitudinariamente poco dormita, rendersi un giudizio positivo su, poco più poco meno, cinquantacinque anni di memoria cosciente, è cosa né facile né scontata se solo si affrontasse l’analisi con quel minimo di onestà dovuta specularmente a sé stessi. Avventure, di ogni genere e tipo, fatti e misfatti, alcuni border line altri off shore o in mari fondi e tempestosi, gioie e dolori, successi e fallimenti, concorrono a rendere del loro totale, quasi sempre e se non altro, almeno un giudizio di pareggio tranquillizzante ed auto assolutorio.

I capelli bianchi, già su quella via in età ancora fiorente, e le rughe, quelle di espressione assieme alle altre quelle della sofferenza e delle risa, sono i segni evidenti di una battaglia continua combattuta senza tregua e senza quartiere; i segni nascosti, quelli dell’ io profondo, quelli di un anima sempre frastornata da una educazione cristiana e codina combattuta dalla ricerca continua e curiosa della ratio di ogni cosa, sono poco evidenti, ma sono quelli che più di ogni altro determinano un cammino ancora in divenire, che ancora continua senza mai essere stanco al punto di una stasi da rassegnata accettazione dello statu quo.

Come possa questopaesedelcazzo e come possano i suoipaesaniconseguenti continuare a restare quasi indifferenti ed a subire ogni cosa loro succeda, sia di interesse pubblico, leggi politica vigente, sia di personale e soggettivo accadere, leggi difficoltà sempre crescenti per chiunque, a me risulta, e così sarà fino a contraria dimostrazione, assolutamente incomprensibile. Non ho mai creduto di essere un caso particolare nel quotidiano di questa nazione ed anzi, via via che il tempo trascorreva, mi sono sempre più reso conto di quanto diffuse e trasversali fossero le mie vicissitudini le quali, gradienti simili quando non uguali e con maggiore o minore incidenza, sono capitate, capitano ed ancora capiteranno ad ognuno degli altri a viverci.

Certo non siamo tutti uguali; certo ciascuno avrà avuto esperienze differenti mutuate da un diverso nascere e da un altrettanto differente divenire; certo ognuno avrà saputo prendersi quelle responsabilità esplicative di ogni vita; e certo ognuno, quelli della mia generazione almeno, avrà, ad un certo punto, lasciata libera la propria capacità di pensiero all’analisi della propria storia traendone le proprie oneste conclusioni; ma proprio per questo e partendo dal dato che nel migliore dei casi il segno positivo è percentualmente piccolo mentre la media può dirsi in pareggio, per non dire di quelli che invece si ritenessero in credito, diventa impossibile credere che non ci sia una voglia diffusa di progresso, una fattiva ribellione ad una situazione generale di malcontento, una smania operativa in prima persona in ogni campo del proprio intorno.

La questione giovanile, la disoccupazione che affligge, dagli appena maggiorenni ai trenta-quarantenni, gli italiani dovrebbe vedere gli esponenti di quelle categorie perennemente sulle barricate supportati da una sussistenza operativa da parte di “noivecchi” ancora capaci di renderci utili; dovrebbe esplicarsi in una situazione di conflittualità permanente nei confronti di quel potere statico e fine a sé stesso che dice di voler cambiare il mondo cominciando, però, dai massimi sistemi, e non dalla risoluzione di quei piccoli comuni impedimenti che, in effetti, sono quelli che nell’immediato bloccano ogni cosa. “Noivecchi”, invece, ci limitiamo a soffrire con loro o a dare loro, quando ci è possibile, quell’aiuto materiale che loro consente, sì e forse, di sopravvivere, ma che al contempo, li rende soggettivamente e unanimamente pecoroni e, sempre più, socialmente debosciati, passivamente rassegnati, combattivamente inutili e risolutivamente suicidi.

L’affermazione, ritardataria e forse, ed oramai, non più sufficiente che vede il segretario della Fiom Landini dirsi pronto finalmente ad entrare in politica nella speranza che una sinistra, concretamente unita, lo segua in massa, va purtroppo ancora ed in più in quel senso essendo il Landini un uomo di una certa età, di vita e di esperienze, il cui carico potrà essere utile solo e se sarà propedeutico ad una immissione nel ruolo politico di rivalsa e rivincita di una generazione più giovane, molto più giovane, a farne la costruttrice in massa di un futuro diverso.

A prescindere da ogni considerazione diversa, però ed in questopaesedelcazzo, il TEMPO NON HA PIU’ TEMPO ed occorre, ma proprio necessita, che ciascuno richiami alla memoria quel proprio esame storico e decida, finalmente, cosa vuole farne del proprio domani: lasciare consumare gli anni che ancora restano in una inutile attesa del paradisiaco premio post mortem o consentire ai propri figli, in un lontanissimo domani per ognuno, di poter pensare …

a quelle grandi persone che erano i propri genitori?.