C A T A R S I - di Francesco Briganti
Io dormo poco. Specifico che non ho alcuna difficoltà a prender sonno, il guaio è che passate quelle tre, quattro ore nel mio cervello sorge il sole ed ogni tentativo di riportarlo a dormire è inutile e causa di nervosismo crescente. Dunque, quale che sia l’ora della notte a farla da protagonista, mi alzo e affronto il resto della notte inventandomi, di volta in volta, il modo di far mattina. La tv notturna è inguardabile, un buon libro non sempre riesce a catalizzare l’attenzione necessaria, il pc ed il net work rispecchiano in quelle ore la desolazione dei solitari al mondo e, quindi, non resta che, a luci spente,con una sigaretta accesa, una delle tante quotidiane, restarsene sdraiati sul divano a seguire la propria mente nei suoi pazzi e sconsiderati voli da un picco all’altro della memoria e della immaginazione seguendo vie aeree senza interconnessioni logiche, ma ognuna figlia di un sibilo di vento, un frusciar di foglie, un rombo improvviso meccanico o naturale. Il tremo lontano, il primo del mattino da e verso la Versilia e Pisa segna il momento in cui è possibile uscire ed andare dalla Tiziana per il cappuccino ed il cornetto: squisiti entrambi e caldi al punto giusto, fanno da punto di arrivo di una strada immersa nel canto degli uccelli, nell’uggiolare dei cani da giardino, nelle luci di quelle finestre in cui una luce si accende improvvisa e da cui cominciano ad uscire effluvi fantastici di caffè e torte di mele. Andata e ritorno restituiscono ristoro ad una mente stanca di sonno disatteso e da super lavoro neuronale.
Ho da poco superato i sessant’anni; abito in una casa grande metà esatta di una villetta bifamiliare con quel fazzoletto di giardino intorno sufficiente a permettere la presenza di un dobermann alieno dalla claustrofobia e di un barbecue sul quale la domenica, quando non piove, arrostire un pezzetto d’agnello o un pollo con pezzi di ulivo frammisti a rami di lauro e salvia che danno alla carne quell’affumicato odoroso da solo sufficiente ad un sapore celestiale. Ho una bella moglie, quasi mia coetanea,ma comunque più giovane e dolcemente fresca ed ho tre figli: la prima sposata in quel di Bologna, Lei ed il secondo entrambi laureati con la piccolina, da poco maggiorenne anche lei, in procinto di iscriversi all’università. Dopo un periodo di contrasto con la mia vecchia azienda ne ho risolto con soddisfazione mia, loro non so e non mi interessa, il contenzioso e lavoro adesso con un'altra, più piccola e dello stesso campo, ma alla quale dedico il mio impegno e con la quale intendo crescere ancora per qualche anno. Dunque si può dire che ho una vita, pur tra gli alti, pochi, ed i bassi, sempre di più e più frequenti: la crisi è crisi per tutti ed ognuno, posso dire di avere una vita che non spinge al rimpianto, di certo non al rimorso, e che si preannuncia con un qualche futuro, se non altro, dallo stesso “andazzo” garantito. Eppure, il pensiero dominante nelle mie notti in bianco è : “ … cosa ne ho fatto della mia vita …?”.
Dai miei vent’anni ad oggi, molte le cose successe, molte le azioni automatiche agite e subite al pari di quei condizionamenti mentali necessari a supportarle; molte le scelte istintive che mi hanno diretto da una parte piuttosto che dall’altra e di nessuna di esse mi sono mai dovuto pentire ed anzi a ciascuna di esse, devo, il mio essere anche ed ancora, qui. Tantissime le posizioni di principio decisive per un addio, per un consenso, per una affiliazione ad un’idea ad un programma o ad un progetto, giuste o riuscite che fossero, delle quali porto tracce cicatrici e sentimenti conseguenti, ma tutte ed ognuno mattone insostituibile ed indimenticabile del mio “essere”. Quindi ed ancora, nel saldo di quella fantomatica partita doppia tra il dare e l’avere di ognuno, il mio è sicuramente maggiore di zero. Saldo cosciente che non spiega quel “… cosa ne ho fatto della mia vita …?”.
Tre giorni fa, mentre ero in ufficio dolori fortissimi in zona cardiaca, tali da togliere il respiro e mai provati prima, mi hanno costretto in ospedale a Reggio dell’Emilia; la mia condizione di arrivo ha spinto ogni operatore presente al meglio di sé, li ringrazio tutti, e nel giro brevissimo del tempo strettamente necessario mi hanno rivoltato come un calzino essendo pronti al peggio del peggio; poi, scemando via via le probabilità delle cause peggiori ed alla fine adottata la terapia necessaria durante la notte i dolori sparivano e due giorni dopo potevo tornare a casa mia con la solita raccomandazione di smettere di fumare e di seguire una alimentazione ad hoc; per la verità ho firmato per auto dimettermi non volendo attendere quel tempo, due o tre giorni in quella sede, che , non essendoci più l’urgenza, occorreva per l’ultimo degli esami da eseguire non senza prendere l’impegno solenne che quel tal esame l’avrei fatto presso la mia sede domiciliare.
Quel “ … cosa ne ho fatto della mia vita … “, non vi nascondo è nato in quei momenti, tra un elettro cardiogramma, una puntura di morfina, un angio tac ed un ennesimo elettro cardio gramma; in quei momenti in cui l’irrazionale paura di non essere più padrone del tuo corpo e della tua mente sostituisce ogni altro pensiero e cerchi e speri di uscirne perché: “ … ho ancora troppe cose da fare e, non voglio andarmene adesso …” o forse perché è solo il terrore del’ignoto del dopo, quale che sia il credo e/o la certezza di ciascuno, che si manifesta in questo modo istintivo e non controllabile.
Oggi è domenica e mai e poi mai amerei tediarvi con il racconto di me e delle mie disavventure; se l’ho fatto è stato un po’ perché mi aiuta, egoisticamente lo ammetto, a ritrovare equilibrio ed un po’ perché mi serviva da prodromo per le prossime poche righe a venire. Sono stato ieri al Cup (centro unico prenotazioni) della mia PESCIA con l’impegnativa di quell’esame mancante; ebbene, mi sono sentito seraficamente rispondere che la data che mi vedeva oggetto dell’analisi poteva fissarsi a NOVEMBRE PROSSIMO. Forse avevano la speranza che nel frattempo io andassi a Lourdes a chiedere un miracolo o me ne andassi tranquillamente e rassegnato all’altro mondo. Farò l’esame a pagamento, in libera professione di quei professionisti che per via ospedaliera fino a novembre non possono, e lo farò nel giro di pochi giorni!.
Io posso!, ma chi non può?.
Noi tutti, “ … cosa ne abbiamo fatto della nostra vita …?”. Parliamo di Renzi, di Grillo, della liceità del parlamento, della casta, e di tutte le storture di questo paese anche con enfasi e con partecipato malessere ed indignazione, ma, ditemi, tutti e ciascuno di voi: “ … cosa abbiamo fatto della nostra vita, affinché queste cose non capitino almeno a chi non può aspettare nove mesi per avere un esito di un esame salva vita per il quale non ci vogliono più di venti, venticinque minuti?.
Non so VOI, ma io, ho fatto poco, molto poco ed in fondo e perciò e come se non avessi fatto nulla: MAI!.