… catarsi … - di Francesco Briganti

26.09.2015 12:46

“ Esistono diverse modalità di sciopero, non tutte legittime. La linea di discriminazione della legittimità di uno sciopero si rinveniva nel principio giurisprudenziale della proporzionalità tra l'astensione e il danno arrecato al datore di lavoro, per cui se il danno subìto dal datore di lavoro era superiore rispetto al sacrificio sopportato dai lavoratori con lo sciopero, esso era ritenuto illegittimo. Questo orientamento giurisprudenziale è stato mutato dalla Cassazione italiana nel 1980 (sentenza Corte di Cassazione 30 gennaio 1980 n. 711), che ora ritiene legittime anche le cosiddette forme anomale di sciopero, anche nel caso in cui comportino un sacrificio maggiore per il datore di lavoro. Ciò deriva dal fatto che il legislatore italiano non ha ancora dato attuazione all'art. 40 della Costituzione e di conseguenza non ha previsto le modalità con cui lo sciopero può essere attuato (limiti interni); quindi qualsiasi modalità, che non costituisca reato, è ritenuta legittima. Gli unici limiti al diritto di sciopero riconosciuti dalla giurisprudenza, sono limiti esterni. Essi sono costituiti dagli altri diritti parimenti tutelati dalla Costituzione, come il diritto alla vita e all'integrità fisica ad esempio, ma anche altri come la libertà di iniziativa economica sancita dall'art. 41 della Costituzione. … (Wikipedia) “.

Poco distante da casa, lungo la strada per il bar della Tiziana, qualcuno ha scritto sull’asfalto: “ mi hanno detto che se non rinuncio a te mi danno il mondo; ma che mi importa del mondo se un tuo sorriso mi regala l’universo? “. Immaginare una persona tanto romantica ed innamorata da impiegare del tempo, nel bel mezzo di una via sulla quale passano auto di continuo, per dare un segno dei propri sentimenti è una cosa che mi fatto riflettere e l’osservazione più banale è stata che ancora, io credo, nulla sia perduto.

Finché nell’animo umano resta posto per i sentimenti ed il coraggio per esternarli esplode nelle sue forme più varie, possiamo ancora sperare di non essere finiti.

Più prosaicamente, però, la cosa mi ha indotto anche ad un’altra considerazione; secondo me, quel mattocchio del bamboccio gigliato non è un uomo felice. Può darsi sia contento, forse persino soddisfatto, a volte addirittura euforico, ma felice non credo proprio. Spiegare a sé stessi cosa sia la felicità è cosa improba e lo è ancora di più renderne il significato agli altri. Come ogni manifestazione la felicità è uno stato assolutamente soggettivo e quindi dipendente da un insieme di fattori molteplici e multiformi; ma se non è possibile codificarne dei parametri universali adattabili a chiunque, si può, però, immaginarne l’idea generale.

La parola “felicità” vede nella sua radice “fe”, che significa abbondanza, ricchezza, prosperità, la propria genesi. Non può, secondo me e però, racchiudersi uno stato d’animo spinto sino alla sublimazione di tutti i sentimenti, avere origine da concetti materiali come quelli espressi da quella radice. La felicità, può essere anche quello, ma non può essere solo quello, altrimenti il mondo sarebbe diviso tra una manciata di felici ed un resto dell’umanità costituita da infelici e come ognuno di noi sa, per esperienza diretta, ciascuno ed almeno una volta nella vita è stato prepotentemente felice: buone, cattive, ottime o pessime fossero le proprie condizioni.

Dunque, la felicità è qualcosa d’altro!.

Essa non ha periodo temporale; è un fuggevole istante ed una collocazione eterna quando quell’istante fosse talmente intenso da marchiare a fuoco una vita; è melanconia e contemporaneamente speranza; e rimorso e voglia di riscatto; è rimpianto, ma anche desiderio di riprovarci; è godimento dell’ozio ad evolversi in voglia di fare; è amorevole bene verso l’altra/o e non egoistico amore a soffocare ed a limitare il reciproco concedersi; è un alba freddolosa e livida ed un tramonto infuocato; è una pianura verde ad ondeggiare nel vento sferzata dalla pioggia ed una distesa di un mare calmo e placido poco prima di perdersi tra onde fiere e violente; è il vagito di un essere appena nato e l’ultimo respiro di un altro a concedersi al dopo; è impegno nel proprio lavoro ed è sapersene staccare al momento giusto; è correttezza e lealtà ed è sano egocentrismo; è la vita nel suo continuo scorrere; è, in ultima analisi, l’avere la coscienza di essere nel momento stesso in cui si è!.

La felicità è tutte queste cose insieme e contemporaneamente ovunque si fosse, quale che fosse il tempo, chiunque fosse a provarle!.

Ed ecco perché io mi arrogo il diritto di pensare che Renzi, come tanti altri al suo pari e no, non sia un uomo felice. Chiunque anteponga anche uno solo tra quei parametri agli altri considerati, li mortificherà e li taciterà e, perciò, non riuscirà a goderne nel modo giusto e significativo da potersi dire o, anche solo credere, felice e, qui mi ripeto, potrà essere contento, soddisfatto, persino euforico, ma a questo dovrà fermarsi.

E vengo al rapporto esistente tra felicità e sciopero, diritti e doveri relativi.

Lo sciopero è un concetto individuato e racchiuso in un’azione materiale; la similitudini tra le due parole, felicità e sciopero, sta non nel loro considerarsi materiale, cosa soggettiva e personale quando anche fosse considerata per gruppi o per categorie, ma nell’idea che ciascuno ha sia dell’una che dell’altra.

Come per la felicità lo sciopero è una astrazione ideologica, è il credere in una speranza, è uno stato d’animo gravido di promesse e di obiettivi da raggiungere; ma solo poche volte riesce ad essere la loro attuazione felice. Uno sciopero sarà producente un miglioramento, sarà condizionante un cambiamento, sarà propedeutico ad una inversione di tendenza; sarà, per questo, contento, soddisfatto, persino euforico, ma, mai, riuscirà ad essere felicemente risolutivo in assoluto.

Renzi a spadroneggiare ed i lavoratori a subire e ad accontentarsi ne sono l’esempio pratico attuale. Noi tutti, a fare da corollario e comparse, la conferma indiscussa.

Invidio quel “ESSERE” a scrivere sulla via ed invidio quel suo momento; non invidierò mai la contentezza, la soddisfazione, l’euforia né di un Renzi né di un lavoratore in siffatte condizioni!. Siamo nati per soffrire e …

non facciamo abbastanza per evitarlo!.