… c’era un cinese in coma … - di Francesco Briganti

23.09.2015 07:42

Scrivo; di tante cose; la maggior parte la tengo per me; sono ricordi, sensazioni e sentimenti, fantasie, vicende tra l’immaginifico, l’accaduto ed il bibliografico: sono quella parte di me di cui piacerebbe parlare con un amico in quei momenti strani che, rari, accadono davanti ad un camino oppure seduti su di uno scoglio con un mare in tempesta che gareggia con i tuoi pensieri. Sono quella vita che avesti voluto avere e che non hai avuto, quei sogni che potevi realizzare, quell’angolo di paradiso a cui tutti aneliamo, ma del quale solo pochi fortunati riescono a godere. In fondo, sono la vita! : nella sua essenza più intima e nascosta che fa di ciascuno di noi un dio o un demonio in funzione di come ad essi si reagisce.

Sono attimi di sincerità estrema che palesare ad alti che fossero quei legami unici ad unire due persone renderebbero un qualcosa di diverso da quello che si è; alcuni potrebbero vederne aberrazioni o eroismi, altri accoglierli come vanaglorie, altri ancora con quell’aria supponente di chi pare quasi faccia una cortesia interessandosi del tuo essere; sono momenti in cui il bisogno di mettersi a nudo supera ogni ritrosia e sconfigge quale che sia forma di timidezza. Non sono, per forza, riflessioni o specchio di visioni tristi e sconsolate dell’intorno; anzi! ; le facce di un uomo, chiunque e maschio o femmina egli fosse, sono caleidoscopiche e, dunque, i miei sono attimi che vanno dall’intimismo più cupo a quello più solare; dal lamento più radicato alla gioia più spontanea e senza riferimenti: sono un ME, chiunque quel “me” identifichi, giacché, io so, che quel “me” è dato in dote ad ognuno di noi ed in ciascuno di noi ci sono moltissimi di quei “ME “.

C’è chi li disegna o li dipinge; chi ne esprime l’essenza impegnandosi da stacanovista nel proprio mestiere o professione; chi li festeggia semplicemente in momenti di ozio estremo; chi ne fa molla perenne e per ogni manifestazione tanto più fossero diventati merce rara da tenere da conto e da centellinare in un mondo in cui “ l’apparire “ ha sostituito, regola generale, “ l’essere “ e nel quale “ l’essere ” è comunque visto con sospetto ed è analizzato sempre dalla lente del “cui prodest” uscito dalle innumerevoli esperienze a fare dello “stai sereno” non più un tranquillizzante incoraggiamento, ma l’avvisaglia di una prossima e certa pugnalata.

Dunque il “me”, l’ IO!. Se c’è una cosa che questo mondo moderno ed a costrizione ha di brutto la si individua nella falsità di una delle interlocuzioni più frequenti; quel “ come va? ” espresso ad ogni incontro in realtà non è più una richiesta affettuosa o amicale di conoscenza dell’altrui divenire, ma una sofferta richiesta di aiuto che estrinseca il bisogno di rassicurazione o la speranza di vedere nell’altro un compagno alla propria disastrata condizione. Quando, infatti, si cominciasse a narrare dei propri problemi si vedrebbe nell’altro subito l’atteggiamento di chi interrompe e si inserisce per aggiungere “ un proprio problema “ a problemi e nel farlo tentare,

aggravandoli, di risollevare l’altro, così facendo risollevando sé stesso. Viceversa, quando dall’interlocutore arrivasse una espressione contenta e soddisfatta, anche il più santo dei colloquianti comincerebbe a pensare alle proprie disavventure dimentico completamente di tutti quei momenti che in ogni vita rendono la vita degna di essere vissuta, così facendo mortificando ancora di più sé stesso.

Quindi il sempre più frequente narrare e narrarsi di una situazione che, sempre più condivisa, porta a quella recita comune che ha fatto la fortuna dei più disincantati e furbi tra i menefreghisti. Questi ultimi, e tu dai! , li ritrovi a frotte di migliaia di unità tra i politici, non c’è colore dipinto sufficiente a distinguerli, e tra i potenti quale che ne fosse il grado, la funzione, l’alto o il basso ruolo occupato nella società. Costoro sanno che non possono, non devono, lasciarsi cogliere dal sentimento, particolare o generale, o mostrarne; DEVONO SOLO mantenere la posizione raggiunta, sfruttarla, farne motivo di benessere costasse pure sacrifici, dolori o la vita di tutti gli altri.

Da essi arriva sempre e soltanto un “ … va tutto bene, madama la marchesa … “ ripetuto costantemente a mantra quando anche solo un istante prima avessero ancora una volta tagliato risorse o deciso che un esame medico all’improvviso è divenuto inutile alla faccia di chi senza ne morirà prima o dopo. Perciò …

“ … lungo una via di Roma, un cinese attraversava la strada …….. “.