… che ne sai tu di un campo di grano …. - di Francesco Briganti

15.12.2014 07:40

Mia madre aveva paura del buio assoluto e non riusciva a dormire se non aveva almeno una lucina, piccola pur che fosse, che ne diradasse le ombre. Prima di chiudere la bara vascello per un mondo migliore le applicammo al interno tante stelle fosforescenti affinché le tenessero compagnia durante il breve viaggio verso quel Dio in cui aveva sempre creduto e sperato.
Mia madre, donna popolare e semplice, napoletana specchio della migliore immagine di quella icona partenopea, favola e sfizio del mondo, ingenua a volte oltre l’immaginabile, era convinta che : “ … Dio non pagasse il sabato, ma alla domenica non dovesse niente a nessuno!”. Mia madre è sepolta a Lamezia; io non vado più al cimitero giacché se esiste un dopo, mia madre non è più lì e, se non esiste, mia madre, comunque non è più lì. Quello che so per certo è che se donne come mia madre, e ce ne sono, hai voglia quante ce ne sono, avessero potuto reggere le sorti di questo paese, “questopaese” vivrebbe condizioni decisamente migliori.

Amalia Teselli in Briganti non aveva nulla di una Madia o di una Boschi; non concepiva neanche una Santanché, una Ruby o una Minetti; Lia non sapeva nulla delle logiche di partito, della fedeltà ad una linea, delle elucubrazioni mentali necessarie per giustificare questo o quel comportamento: AVEVA UN SUO METRO PER IL GIUSTO E L’INGIUSTO e lo usava con scienza e coscienza. Lia disconosceva nella maniera più assoluta tutte le furbizie della economia e della finanza; sopravviveva tranquillamente fregandosene delle cene eleganti, dei burlesque o dei giochi di potere seguendo i quali si lascia andare un mondo in rovina per poterne avere il controllo; Lia aveva un solo obiettivo quello di curare la propria famiglia, di crescerla nel rispetto e nell’onestà, di far sì che nessuno dei suoi cari avesse pesi che non fosse in grado di sopportare. Lia fu compagna, moglie, madre e guida e se ne andò con la coscienza di chi sa che la sua domenica era assolutamente in pareggio.

Guardando oggi a questo mondo sembra che di madri così si sia perso persino lo stampo. Sembra che di donne così, cresciute nell’alea della guerra e quindi con il chiaro sentire che la vita è solo un fatto transitorio, che le cose importanti sono solo quelle veramente importanti, che l’altro dal sé non è solo una espressione biologica a cui prestare la mera attenzione necessaria per non farsi fregare, che l’essere umani significa attestarsi su posizioni scambievoli di amore, di fiducia, di stima e di rispetto, che il denaro è importante, ma è solo un mezzo e non può essere un fine, sembra, dicevo che non vi sia più traccia e che da esse, mogli e compagne, non via mai stata prole che ne perpetuasse gli insegnamenti, la visione della vita, la concezione del mondo.

Noi, figlie e figli di quelle donne, guide e maestre, da qualche parte lungo il cammino abbiamo smarrito il senso di un insegnamento che avremmo dovuto trasmettere e che, invece, abbiamo egoisticamente relegato nella cantina degli affetti e dei ricordi, lasciando che pressioni e passioni sbagliate di certo nei risultati raggiunti, avessero la meglio e producessero quella resa quotidiana cui imbellamente assistiamo ad ogni giorno che passa.
Noi, generazione di fenomeni che volevamo cambiare il mondo, ci siamo riusciti nel modo peggiore possibile.

Noi abbiamo creduto che la nostra domenica non sarebbe mai arrivata e ci siamo tuffati senza riflettere nella politica del tutto ad ogni costo trasformando un vivere da uomini in una esistenza di ricattati senza dignità ed onore, quando mai queste parole abbiano avuto un significato, disposti ad ogni compromesso lasciando al mito del meglio l’incarico di distruggere la verità del bene.

Noi abbiamo sublimato l’aspirazione giusta e legittima dei nostri genitori che volevano per noi un futuro più tranquillo e pacifico nella disperazione fonte di una corsa verso l’alto pur che fosse, senza badare a chi veniva calpestato, a chi restava indietro, a chi avrebbe avuto bisogno di un aiuto, a chi rischiava di morirne socialmente, politicamente ed alla fine, moralmente e materialmente.

Noi, generazione di fenomeni, ci perdiamo adesso nel chiedere in giro se qualcuno sa “ … chi erano i Beatles …” e non vogliamo convincerci che solo ammettendo il nostro soggettivo e corale fallimento potremo affidare al vento quelle parole affinché
raggiungano, finalmente, chi …

al vento potrebbe dir di si!.