Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo … - di Francesco Briganti

22.08.2013 09:02

Quella della solitudine è una scelta difficile da farsi, ma una volta presa questa strada non bisognerebbe mai allontanarsene. Questo modo di essere non va inteso o assimilato a quello di un eremita o di una situazione di clausura monastica; sono queste ultime delle scelte che richiedono una forte motivazione, a volte religiosa, a volte esistenziale, di ben maggiore spessore e convinzione. Parlo, invece, di quel tipo di solitudine che tutti, prima o dopo, hanno provato o provano e che non sono funzione della maggiore o minore presenza di altre persone: nel corso di una festa di piazza, ad esempio, ci si può improvvisamente sentire isolati da tutti gli altri così come, viceversa, su di una spiaggia deserta ci si può sentire in perfetta sinergia e connubio con il resto del mondo. Questi stati d’animo, transitorie ed estemporanee emersioni dal subconscio del proprio io che vanno ad adombrare o ad illuminare un particolare momento, posso divenire, ed è questa la scelta soggettiva a cui mi riferisco, un modus vivendi. La scelta sinergica e di compartecipazione al mondo è secondo me la più facile da seguire; attenzione non dico che sia meno dolorosa, anzi forse può esserlo di più, ma l’essere disponibili sempre, aperti ad ogni evenienza, decidendo di prendere la vita come un’avventura gioiosa è una condizione insita nell’animo umano: non si fa fatica a metterla in atto e basta seguire il proprio istinto primordiale; senza di essa il mondo sociale non avrebbe fatto alcun passo avanti nel discorso evolutivo della specie uomo e sarebbe, probabilmente, rimasto appeso a quell’albero primordiale. Ed allora, perché si sceglie di ritenersi “soli”?. Alla base di questo indirizzo mentale ci sono, secondo me, delle farneticazioni pseudo filosofiche frutto di traumi psicologici e/o materiali che, reali o immaginari ed una volta che fossero vissuti in più e più occasioni, generano disillusioni profonde della propria istintiva visione della vita. Il cardine di questa scelta di vita consiste nel diventare bastevoli a sé stessi; autosufficienti e senza dipendenze materiali o affettive, che pure ci sono o avvengono, tali da condizionare il proprio andare; ci si stacca dal mondo quotidiano nel senso che lo si vive come il percorso di un cammino che, andando da A a B, comincia al mattino e finisce la sera senza che si dia nessuna valenza a chi si incontra o a quello che succede in questo frattempo: si considera l’altro da sé ed il tutto in cui ci si muove come un scenografia comunque immutabile e che va accettata nel suo essere e nel suo divenire senza che questo possa, in nessun modo, scalfire la propria esistenza. Ci si adatta ad una visione pessimistica del circostante e, quindi, non aspettandosi nulla di buono non se ne viene feriti quando una particolare delusione o un determinato accadimento contrario dovessero presentarsi; si lascia che tutto succeda scivolando addosso come acqua piovana: in ultima analisi ci si protegge dal dolore creandosi attorno una corazza di dolore continuo, fatta di sfiducia, disinteresse, acrimonia, a cui, paradossale ma vero, ci si abitua fino a che questo dolore cessa di esser tale: niente riesce più a fare male e, raggiunta questa condizione, tutto ciò che di bello dovesse succedere viene accolto come quella pausa infrequente e transitoria quale in effetti è. Raggiunto questo stadio esistenziale, e non dico che sia quello giusto, uscirne o lasciarsi convincere a farlo, e assolutamente dannoso perché si torna a quello stadio istintivo in cui gli accadimenti esterni, belli e brutti, sono mille volte più malevoli perché al dolore momentaneo si aggiunge la consapevolezza della rinuncia ed il pentimento della stessa. Ora, consideriamo l’atteggiamento degli Italiani nei confronti della politica e dei politici in genere e ditemi se questa condizione soggettiva non può oggettivarsi nella situazione odierna. Tutti, che si sia astenuti al voto, votanti per protesta, aderenti per disperazione o per schifo o per ennesima procurata illusione, ci siamo costruiti quella corazza famosa intorno e non ci aspettiamo più nulla di buono arrivando alla estremizzazione del rifiuto totale ed alla pretesa di essere gli unici capaci di cambiare il mondo in un mondo che, proprio perché schifosamente malridotto, questa possibilità solitaria non ce la darà mai se non strappandogliela letteralmente dalle mani. Una via di mezzo tra le due visioni della vita e più in generale della politica, sarebbe la migliore soluzione, ma questo presupporrebbe quella onestà d’animo, quella voglia dell’altro, quella compliance comunitaria che l’altro stesso, in solitario o come comunità, ha smesso di rendere ed allora?. Se ne esce solo rifondando, ciascuno il sé e tutti il nostro o … NON SE NE ESCE!.