…ci vediamo da mario … prima o poi!. - di Francesco Briganti

16.05.2015 11:18

Un volto, una voce, ed ecco all’improvviso un ritorno al passato; un balzo indietro di quarantacinque anni a catapultarti nei profumi, nei suoni, nelle allegrie e le disperazioni di allora: diciotto anni, una maturità da affrontare e le facce, i sorrisi, le afflizioni di ragazzi in un liceo alla vigilia di una “maturità” che avrebbe sancito il loro divenire uomini e donne. Ieri, mi è venuto a trovare un mio carissimo amico che non vedevo da anni e come se nulla fosse abbiamo ripreso un discutere ed un raccontarci come se avessimo lasciato in sospeso un qualcosa solo la sera prima.

L’incontro è stato breve, ma intenso, gli impegni lo portavano verso Roma ed il tempo, specialmente di questi periodi, è un tiranno maggiore del più tenace di un renzi qualsiasi e, dunque, abbiamo spremuto da quei pochi momenti il bello di una amicizia che dura dal 66. Grazie Enzù … alla prossima, da me o da te, e che sia tra breve.

L’amicizia ed il tempo. Due variabili che rendono ognuno di noi sempiterni. Tutti coloro che riescono nella vita ad avere un amico vero, un amore sincero, una passione trasmessa cristallinamente, lasciano un segno indelebile negli altri.

Non occorre essere dei santi o delle madonne; non è necessario spendersi in un apparire luccicante e sfolgorante di lustrini; non è condizione obbligatoria essere nella possibilità di elargire prebende o doni a cascata, urbi et orbi, per ESSERE; oh!, non dico che chi ne avesse la possibilità farebbe male a farlo sopra tutto se lo facesse senza tener conto di un qualche ritorno, spassionatamente; dico soltanto che un uomo ed una donna, quale che fossero le loro condizioni, il loro status, le loro passioni, possono, comunque ed ovunque, rendersi protagonisti eterni per qualcuno e per qualcosa; basta ricordarsi sempre che l’ESSERE è sostanziale, l’AVERE può essere d’aiuto, ma non è indispensabile e l’APPARIRE diventa soltanto un vuoto recitare quando nel retro palco non ci fosse altro che un copione, un nulla esistenziale, un interesse finalizzato ad una qualsiasi cosa che garantisse un qualche ritorno.

Non starò, non mi va questa mattina, a fare il solito sproloquio su quello che non va in questopaese; sono in una fase di menefreghismo assoluto; chi non vede ciò che accade e perché non ha interesse a vedere o viceversa HA ESPRESSO INTERESSE A NON VEDERE e, dunque, cantare sempre lo stesso ritornello alla lunga stufa e diventa contro producente; me ne astengo e spero, con questo e per oggi, nella Vostra gratitudine.

Voglio ancora per qualche momento crogiolarmi nei miei ricordi; ripensare a quelli attimi, giorni, mesi ed anni di allora, che da ieri pomeriggio si affacciano di continuo nella mia mente.

Ripenso al mio primo giorno al F.Fiorentino, liceo scientifico con sede in un vecchio monastero riadattato a scuola; venivo da Napoli e non mi ci volevano: la mia media voti era così brutta da farmi apparire come un asino transfuga in cerca di terre più compiacenti; sorpresi me stesso ed i professori; forse fu orgoglio, forse fu un attenzione più dedicata di quella esperita in una città, forse fu tutto l’ambiente che prese a ben volermi; di certo il risultato fu che la Calabria cominciò a fare di me un’altra persona.

Balzano ai miei occhi i volti di quei professori: La Marchesi di lettere, Crapis di francese; Impiombato di lettere; la Nicosia di Matematica; Pasqualino Porchia anche lui professore di lingue e Tonino Leone di storia e filosofia; don Mario Milano: mi definiva un filosofo solo perché mi era capitato di chiedergli che senso avesse affermare, in confessione, di pentirsi di una cosa se poi si sapeva bene che quella cosa si sarebbe rifatta alla prima occasione.

E poi i compagni; lo stesso Enzo, rivisto dopo tanti anni, Edda, già allora matrona romana, e poi Giovanni, Fiore, Sergio, Peppino, Silvana, Amalia, Letizia, Maria, Patrizia, di ciascuna e ciascuno ricordo le facce, gli screzi, gli affetti, le vicissitudini e gli amori a volte interconnessi, a volte a scontrarsi, a volte a dividere o unire senza una logica che non fosse quella di una gioventù, allora, che sapeva per certo che un futuro, quale che fosse, c’era: non doveva far altro che costruirselo.

E tutti noi, chi con maggiore sapienza, chi con qualificata maestria, chi con alterne fortune, chi semplicemente seguendo il “ domani è un altro giorno”, quel futuro lo abbiamo raggiunto in questo oggi che a non a tutti può piacere ed anzi a moltissimi, sempre di più, sembra il fallimento dichiarato di quella generazione che voleva cambiare il mondo, sopra tutto quando si guardasse a quel cinquanta percento di ragazzi la cui malaugurata sorte ne lascia la vita a dipendere dai giochi di piccoli, sporchi, miserabili arrivisti la cui sola qualità è, perché tali vengono considerate al giorno d'oggi, appunto l’essere ….

piccoli, sporchi e miserabili arrivisti!.