… CI VORREBBE UN AMICO … 2 - di Francesco Briganti

31.10.2015 08:19

Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell’anno 1628, don Abbondio, curato d’una delle terre accennate di sopra: il nome di questa, né il casato del personaggio, non si trovan nel manoscritto, né a questo luogo né altrove. Diceva tranquillamente il suo ufizio, e talvolta, tra un salmo e l’altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, l’indice della mano destra, e, messa poi questa nell’altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli occhi all’intorno, li fissava alla parte d’un monte, dove la luce del sole già scomparso, scappando per i fessi del monte opposto, si dipingeva qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora (… ).

Dopo la voltata, la strada correva diritta, forse un sessanta passi, e poi si divideva in due viottole, a foggia d’un ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava alla cura: l’altra scendeva nella valle fino a un torrente; e da questa parte il muro non arrivava che all’anche del passeggiero. I muri interni delle due viottole, in vece di riunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo, sul quale eran dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta, e che, nell’intenzion dell’artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato, volevan dir fiamme; e, alternate con le fiamme, cert’altre figure da non potersi descrivere, che volevan dire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di mattone, sur un fondo bigiognolo, con qualche scalcinatura qua e là. Il curato, voltata la stradetta, e dirizzando, com’era solito, lo sguardo al tabernacolo, vide una cosa che non s’aspettava, e che non avrebbe voluto vedere. Due uomini stavano, l’uno dirimpetto all’altro, al confluente, per dir così, delle due viottole. L’abito, il portamento, e quello che, dal luogo ov’era giunto il curato, si poteva distinguer dell’aspetto, non lasciavan dubbio intorno alla lor condizione ... .

Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull’omero sinistro, terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: due lunghi mustacchi arricciati in punta: una cintura lucida di cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccol corno ripieno di polvere, cascante sul petto, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava fuori d’un taschino degli ampi e gonfi calzoni: uno spadone, con una gran guardia traforata a lamine d’ottone, congegnate come in cifra, forbite e lucenti: a prima vista si davano a conoscere per individui della specie de’ bravi. (….)

– Signor curato, – disse un di que’ due, piantandogli gli occhi in faccia.
– Cosa comanda? – rispose subito don Abbondio, alzando i suoi dal libro, che gli restò spalancato nelle mani, come sur un leggìo.
- Orsù, – interruppe il bravo, – se la cosa avesse a decidersi a ciarle, lei ci metterebbe in sacco. Noi non ne sappiamo, né vogliam saperne di più. Uomo avvertito... lei c’intende.
– Ma lor signori son troppo giusti, troppo ragionevoli...
– Ma, – interruppe questa volta l’altro compagnone, che non aveva parlato fin allora, – ma il matrimonio non si farà, o... – e qui una buona bestemmia, – o chi lo farà non se ne pentirà, perché non ne avrà tempo, e… – un’altra bestemmia.
– Zitto, zitto, – riprese il primo oratore: – il signor curato è un uomo che sa il viver del mondo; e noi siam galantuomini, che non vogliam fargli del male, purché abbia giudizio. Signor curato, l’illustrissimo signor don Rodrigo nostro padrone la riverisce caramente.–

Questo nome fu, nella mente di don Abbondio, come, nel forte d’un temporale notturno, un lampo che illumina momentaneamente e in confuso gli oggetti, e accresce il terrore. Fece, come per istinto, un grand’inchino, e disse: – se mi sapessero suggerire…

– Oh! suggerire a lei che sa di latino! – interruppe ancora il bravo, con un riso tra lo sguaiato e il feroce. – A lei tocca. E sopra tutto, non si lasci uscir parola su questo avviso che le abbiam dato per suo bene; altrimenti…
ehm… sarebbe lo stesso che fare quel tal matrimonio. Via, che vuol che si dica in suo nome all’illustrissimo signor don Rodrigo? -

– Il mio rispetto… -

– Si spieghi meglio! -

– … Disposto… disposto sempre all’ubbidienza –.

E, proferendo queste parole, non sapeva nemmen lui se faceva una promessa, o un complimento. I bravi le presero, o mostraron di prenderle nel significato più serio.

- Benissimo, e buona notte, messere, – disse l’un d’essi, in atto di partir col compagno.

Don Abbondio, che, pochi momenti prima, avrebbe dato un occhio per iscansarli, allora avrebbe voluto prolungar la conversazione e le trattative.

– Signori... – cominciò, chiudendo il libro con le due mani; ma quelli, senza più dargli udienza, presero la strada dond’era lui venuto, e s’allontanarono, cantando una canzonaccia che non voglio trascrivere. Il povero don Abbondio rimase un momento a bocca aperta, come incantato; poi prese quella delle due stradette che conduceva a casa sua, mettendo innanzi a stento una gamba dopo l’altra, che parevano aggranchiate.

Come stesse di dentro, s’intenderà meglio, quando avrem detto qualche cosa del suo naturale, E DE TEMPI IN CUI GLI ERA TOCCATO VIVERE. …
( I promessi sposi; A. Manzoni; ndr).

Dunque … ROMA!.