CINCINNATO … - di Claudia Petrazzuolo

10.03.2013 08:35

Nei pressi di casa mia, io abito in uno di quei borghi toscani di cui è piena la letteratura, c’è una grossa distesa erbosa con le dimensioni di un campo di calcio, forse anche un po’ più grande; è centrale rispetto a vari gruppi di case, che distanti tra loro vi si affacciano un po’ timide e quasi con la speranza di vederla sempre così, sgombra da costruzioni e spazio libero su cui stendersi al sole, passeggiarvi la mattina presto, magari a piedi nudi in quei giorni di primavera o d’estate che invitano a farlo, guadarla, letteralmente, d’inverno sotto una pioggia scrosciante per sentire, poro per poro, la fragranza dell’erba bagnata e del muschio sui radi alberi a circondarla; non è uno spazio in qualche modo comune, ha sicuramente un proprietario, anzi più proprietari che, però, chiunque siano, per ora lo lasciano incolto ed al godimento di tutti gli altri, ognuno dei quali, per errata concezione dell’uso capione se ne sente un po’ ed in parte proprietario: al punto che, senza esagerare, c’è, ora, chi ne ha dissodato un piccolissima parte e ci fa crescere i pomodori “cuore di bue”: hanno un sapore eccezionale e tutti se ne possono approvvigionare. Siamo tutti affezionati a quella distesa erbosa, perché per essa, anni addietro, abbiamo combattuto strappandola alle mani avide di un abusivo che, senza averne diritto, voleva costruirci un supermercato. Cosa era successo?: il campo è in realtà una proprietà indivisa, il cui titolo è il risultato di una volontà testamentaria dedita più alla divisione che all’unione degli eredi e le cui clausole sembrano fatte apposta, e forse lo sono, affinché gli eredi stessi non riescano a raggiungere un accordo lasciando in completo abbandono il terreno; a seguito di questa situazione, questa abusivo aveva steso un progetto di costruzione e vi aveva inviato ruspe ed operai per iniziare dei lavori non autorizzati ne autorizzabili. La comunità aveva reagito ed a seguito di un, anche acceso e iracondo dibattito, ognuno tra gli abitanti della zona ne aveva, letteralmente, recintato un pezzetto cercando di sfruttarne la vicinanza alla propria abitazione ed il campo poco a poco aveva perso il suo aspetto di parco per divenire una confusa accozzaglia di piccoli orti, sporchi depositi di materiali, stretti parcheggi per una o due auto, ritrovi di bambini e, purtroppo, non, angolo di sosta con tanto di roulotte ad uno dei margini per attività, diciamo ludico-sessuali di avvenenti signorine straniere; era alla fine un intricato labirinto nel quale era difficile entrare ma dal quale era ancora più difficile uscire: un viottolo, qua e là melmoso, a volte scabroso per sassi e pietrisco, a volte foresta d’erba alta e spinosa si incuneava tra i vari recinti cercando con cammino difficile, a volte senza uscite, e tortuoso per attraversarlo. Il campo, allora era molto diverso da come è ora, sembrò essere alla fine una bruttissima copia di un lager, tanto che era evitato dal far della sera in poi sino alla luce piena del giorno fatto.Il campo è grande, ma non tanto da garantire ad ognuno del borgo una parte, per quanto piccola, sfruttabile in qualche modo, per cui a lungo andare si ingenerarono gelosie, liti, furono fatti esposti all’autorità costituita, un caos crescente, astioso e irritante cominciò a rendere invivibile la vita stessa del borgo tutto finché un bel giorno di un febbraio non tanto lontano nel tempo uno dei tanti esclusi all’usufrutto del campo, fattosi un po’ portavoce di tutti gli altri ebbe l’idea risolutiva: DECISE DI RECINTARE ALL’INIZZIO ED ALLA FINE il tortuoso, fangoso, “forestoso” sentiero che lo attraversava, impedendone così a tutti e ad ognuno il passaggio verso ogni dove nel campo, rivendicando per sé lo stesso diritto degli altri. Ne aveva ben ragione e donde: non aveva fatto altro che occupare uno spazio libero come aveva fatto ciascuno degli altri occupanti! E completò, argutamente l’opera circondando con altro filo spinato tutto il perimetro adducendo a sé ogni striscia d’erba all’esterno dei recinti preesistenti: il campo era diventato prigioniero di sé stesso. Si cercò di blandirlo, di indurlo alla ragione, di comprarlo per fino, ma lui nulla!, non recedeva di un passo fino al giorno in cui chiamato dal prefetto del luogo in assise comune con tutti gli altri non spiegò le sue ragioni e disse:” … IL CAMPO NON E’ MIO E NON E’ VOSTRO … o torna di tutti o resta com’è cioè mio prigioniero e impossibile da usare per ognuno di voi …, la scelta non è mia, MA E’ VOSTRA!. “ Ognuno dei presenti guardò gli altri negli occhi e, all’improvviso, tutti capirono e con le spalle curve ciascuno andò a rimuovere il segno del suo proprio piccolo egoismo ed anche il sentiero fu il primo ad esser liberato da ogni impedimento che aveva creato: in breve quel campo, grazie all’opera intelligente e fattivamente collaborativa, di quell’ultimo invasore diventò quel che è ora: UNA SPLENDIDA DISTESA D’ERBA DI CUI OGNUNO E TUTTI possono godere. LUI cosa fa adesso? Cura quel piccolo orto di pomodori e controlla che nessuno si approfitti di nulla … PENSATE INVECE COSA SAREBBE SUCCESSO SE SI FOSSE OSTINATO A MANTENERE LE PROPRIE RECINZIONI: NESSUNO PIU’ NE AVREBBE AVUTO ALCUN BENEFICIO!.
Buon giorno Italia … AUGURI!.