… come il sole all’improvviso … - di Francesco Briganti
Avevo vent’anni e tutto mi sarebbe piaciuto fare tranne che servire di leva. Avevo un giro di amicizie collaudate; quasi tutti eravamo motorizzati con moto o scooter, c’era il circolo del Tennis dove si trascorrevano le serate e le ragazze, erano anche i primi tempi dell’università, nel pieno della rivoluzione femminile si aprivano al mondo in un modo, mi piace pensare, spontaneamente, maliziosamente ingenuo che rendeva “quel mondo” ed a quel mondo, una gioia di esserci e di vivere che travalicava ogni preoccupazione per il domani. Eravamo ragazzi che ambivano solo esserlo: in quel periodo, per quel periodo, per quei tempi e per quei luoghi. Dunque, quando ricevetti la cartolina per me fu una mazzata in fronte: mai e poi mai avrei voluto allontanarmene ed a maggior ragione farlo con una divisa indosso.
Arrivai alla caserma D. Chiesa di Riva del Garda in un tardo pomeriggio di inizio primavera. Si diceva fosse una caserma punitiva ed io, che già non capivo quale fosse la colpa da scontarsi, la prima sera piansi come un vitello in un mattatoio; ne fui visto, e ne ebbi la prima lezione: ancora singhiozzavo disperato quando un secchiata d’acqua fredda e sporca, sic!, infradiciò tutta la mia roba. Sono un napoletano cresciuto in Calabria; credo di avere un cervello capace di fare due più due e per questo nello stesso istante in cui le prime gocce mi colpivano capii che quell’atteggiamento, continuato, mi avrebbe reso uno zimbello per i mesi a venire. Mi alzai nella mostrata innocenza generale ed in silenzio provvidi a ripulirmi ed a ripulire il tutto.
Passarono i giorni, mi impegnai nell’addestramento al punto da avere i primi gradi, ma quell’acqua restava un mio tormento finché non riuscii a sapere chi era stato l’autore del forse dovuto, comunque crudele scherzo. Era un ragazzo di Platì, calabrese come me, il quale forse aveva voluto specificare il suo essere differente dalla mia mostrata “calabresità”. Qualche settimana dopo quella prima sera del mio arrivo, il ragazzo si era appena coricato, io mi avvicinai al suo letto brandendo una busta di plastica piena di acqua ed anilina rossa condita con ricordini umani e gliela rovesciai addosso. Poi, in piedi, attesi che si riprendesse dallo sbalordimento.
Finì che ci azzuffammo ferocemente ed io, oggi, posso dire solo che fui molto, ma molto fortunato: se non ci avessero separato, e ce ne vollero parecchi, lo avrei ammazzato. La mattina dopo in infermeria, ci eravamo finiti entrambi, io avevo una grossa tumefazione sull’occhio sinistro, ma lui aveva ben nitidi sul collo i lividi della mia stretta e lamentava ancora una notevole fatica nel respirare.
Feci 15 giorni di cella di rigore e poi fui trasferito alla Vittorio Veneto di Bolzano. Mi inserirono in un corpo speciale alle dirette dipendenze del generale De Paoli ed eravamo talmente unici, come compiti e come addestramento che nella mensa comune, noi di quel plotone venivamo serviti in tavola dai nostri stessi commilitoni.
Ho imparato tante di quelle cose in quel periodo che la metà basterebbe a fare di me uno psicopatico pericoloso quand’anche non lo fossi già di mio. Io so come si sgozza un uomo senza fargli fare un fiato; io so dove si deve mirare e colpire per uccidere istantaneamente; io so la mossa giusta per torcere un collo e/o per rendere inabile per la vita un essere umano, io so cosa premere e dove farlo per indurre uno stato comatoso in pochi secondi.
Io so, ho imparato che per quanta sopportazione riuscirai ad avere alla fine si cede al dolore e se vogliono farti dire qualcosa tu li accontenterai ed ho imparato a farlo.
Ho imparato ad avere rispetto per la vita PROPRIO PERCHE’ MI HANNO INSEGNATO A NON AVERNE!.
Raccontarvi quanto sopra, e non lo faccio mai volentieri, mi serve per poter spiegare quanto a seguire; le armi hanno una personalità ben precisa, del tutto contestuale a ciascuna di esse ed hanno, ognuna, una propria funzione specifica e funzionale.
La pistola: quale che ne sia il calibro è un’arma indipendente; deve essere sempre pronta e quindi va curata nei minimi particolari. E’ un’arma istintiva, non ragionante, essa deve sparare all’occorrenza salvo poi chiedersi, dopo, il perché l’ha fatto. E’ un’arma da paurosi, da attacco e difesa estemporanei: da crisi di nervi!.
Il fucile, in tutte le sue forme e caratteristiche; è un’arma riflessiva, richiede attenzione nella mira, addestramento all’uso ed allenamento al peso ed al suo rinculo; vuole calma, mano ferma e nessuna titubanza: quando spara un fucile lo fa solo per uccidere.
Il coltello, quei coltelli alla Rambo o le baionette; sono un’arma subdola, traditrice e silenziosa, penetrano nelle carni con una facilità incredibile; lacerano, sfondano, tranciano, massacrano tutto ciò che incontrano; sono armi coraggiose, ma vigliacche ad un tempo che sanno del rischio che corrono a loro volta e per loro vige solo il mors tua vita mea.
I rispettivi utilizzatori ne sono la pedissequa estensione umana!.
Di questi tempi, Salvini e soci bastardi di conserva, cianciano della necessità di armare il popolo, di legittima difesa e di altre amenità di questo genere. IO AFFERMO che nessuno di loro sa di cosa sta parlando; che nessuno di loro conosce gli effetti di un proiettile A penetrare un corpo; che nessuno di loro ha la benché minima idea dei danni provocati QUANDO UNA LAMA VIENE USATA per scopi diversi dal tagliare una fetta di pane.
Ed allora ci si arrende alla violenza altrui?.
Mai sentirete da me affermare una cosa del genere, ma fomentare l’ira, la rabbia, la vendetta dei colpiti, così come si fa con tanta leggerezza non è criminale E’ STUPIDO!. Così come è stupido chi pensa che con un arma in mano la propria vita sarà più sicura e protetta: NON E’ VERO!.
Per usare un’arma ci vuole la conoscenza, ci vuole la forza, morale e materiale; ci vuole il coraggio; ci vuole tanto di quel pelo sullo stomaco che non basteranno ettolitri di antiacidi per digerire il dopo averlo fatto. In un paese dove nessuno si batte nemmeno per i propri sacrosanti diritti rendere libera circolazione alla difesa personale ed alle armi …
non è che l’ennesimo mattone nel muro che stanno costruendo!,