… concerto … - di Francesco Briganti
C’è una distesa verde nei pressi di casa mia e, quando sorge il sole, si illumina di quel verdegiallo quasi bianco che abbaglia e lascia affascinati. Quando c’è quell’alito di brezza mattutina ogni filo d’erba che si muove rende l’insieme del mare: per me che sono nato a mare restare a guardare questo miracolo della natura e dell’immaginazione è, ogni volta, un tornare alle origini, a quelle memorie ancestrali che, mediate e comprese nei fatti di una vita, fanno di ognuno di noi un essere unico.
Ha la forma di un campo da calcio; fiancheggia per un tratto la lunga strada inter poderale e termina ai piedi di una collina erta e boscosa; separa un viottolo che si inerpica su tra gli alberi ed un gruppo di case a creare un piccolo borgo nel borgo.
E’ un oasi, miraggio reale e tangibile, nel deserto delle pur innumerevoli anime che se lo vivono, ornamento abitudinario, intorno. Lo si fiancheggia distratti, presi come si è dal pensiero del pane da riempire col companatico del giorno; così che tra quelli che possono e quelli che, invece, non possono e per entrambi, il soffermarsi a ristorare l’animo respirandone il profumo e l’ossigeno vitale che emana diventa una opzione non contemplata, non necesaria, superflua ed inutile. E’ una pista di atterraggio: uccelli di ogni tipo, tordi, merli, gazze, tortore, colombi e passeracei di ogni tipo, ne fanno volteggi armoniosi per poi scendere i picchiata o ripartirvi senza tregua; il suono del canto di ciascuno di essi è una melodia sinfonica che di primo mattino pare la voce di Dio. E’ un colosseo animale dove si sfidano cani e gatti; dove è possibile godere dell’ardimento di qualche scoiattolo temerario a sfuggire, incosciente o indomito, minacce aeree di falchi f35 in dotazione gratuita al sadico godimento umano di uno lotta; all’alba qualche volpe guardinga vi si avventura attraverandolo in direzione rifiuti indifferenziati essendosi adattata al facile poco dignitoso pasto di certo più facile di uno sforzo a conquistare: qualche volta un cadavere sgozzato dai cani giace presso i bidoni, ma che volete, non è che il destino di chi vuole sopravvivere senza la dignità dell’essere qualcosa e qualcuno secondo la propria natura. E’ un asilo nido a cielo aperto che non richiede prenotazioni o fondi europei dove giovani mamme trastullano bimbi eccitati a correre dietro un pallone, un gatto o un cucciolo che faccia per loro da gioco o da compagno di crescita insieme contribuendo ad aprire quelle piccole menti che, crescendo, qualche stracciarolo di idee puzzolenti e fumose contribuirà a richiudere e seppellire. Non ha panchine e non ci sono punti atti al riposo di membra stanche o di menti affaticate eppure vecchietti in solitudine lo attraversano da un fianco all’altro a volte strascicando i piedi o a volte frettolosi come impauriti di affogarvi dentro. Alcuni, appoggiandosi a bastoni improvvisati o tecnologici ed in coppia, argomentano la vita rendendone l’eco, a chi volesse ascoltarli, amplificata da non si sa quale cassa armonica a far da ripetitore; poi, lentamente spariscono tra gli alberi nel bosco o lungo la strada verso casa …
Vecchi e bambini …
Ero lì, a godermi quel mare d’erba diretto verso casa quando d’un tratto, nell’eco sottile della brezza, una vocina allegra, in lontananza; quasi sommersa dall’erba alta, una piccola creatura: pulita nel suo vestitino stirato ed insolitamente leggero, creava ai miei occhi un contrasto di colori quasi surreale, come le immagini dei primi programmi a colori di quando ero bambino. Cinque anni, o poco più. Quella bimbetta dai capelli scuri e ricci, sola nell’immensità del verde, faceva rimbalzare energicamente una palla e, stringendo i dentini fra le labbra rosa, sottili e leggermente socchiuse, arricciava curiosamente il naso dando vita ad un sorriso vispo e dolcissimo. Compiaciuta, seguiva la sua palla, ne osservava i balzi, la rincorreva, se la stringeva al petto.
Completamente presa dal suo gioco, la vedevo caracollare di qua e di la, incurante del circostante. La palla, spinta da un rimbalzo strano, la costrinse a seguirla con un movimento quasi alla cieca facendola finire addosso ad un fagotto di stracci malamente erto come uno spaventapasseri; il trillo della piccola voce si confuse col profondo fastidio di un colpo di tosse: animandosi, quasi fosse un cartone giapponese, un vecchio corpulento signore si stiracchiò ergendosi in tutta la sua evidente canuta difficoltà.
Tornai sui miei passi, interessato da quel affrontarsi di corpi così sproporzionati e diversi fra loro, attirato ed un po’ preoccupato dall’evolversi del incontro. Mi avvicinai discretamente mentre i miei occhi spiavano la mani dell’anziano signore: solcate da rughe profonde, esse poggiavano, impugnandolo con forza, su di un bastone, quasi per dare al corpo un sollievo al peso dell’enorme e malandato giaccone che lo copriva. Il viso, impassibile e dapprima assorto, si girò da un lato, quando nella mente avvertì il giaccone scivolare dalla spalla sinistra, strattonato com’era, dalle minuscole mani della piccina che, a capo chino, la guancia rosea coperta dai riccioli neri, lo squadrava dubbiosa. Qualche istante e il dubbio le si sciolse in sorriso sbocciando in una domanda improvvisa : “ Qual è il tuo colore preferito?”, gli chiese, poi riprendendo ad inseguire la sua sfera colorata, voltò la testolina e continuò: “ Il mio è il rosa …” . Il vecchio serrò gli occhi in un segno di dissenso, inarcò le sopracciglia e scuotendo lievemente il capo, portò una delle mani, saldamente appoggiate al pomo del bastone, ad accompagnare l’uno verso l’altro i lembi del grosso collo di lana quindi, raddrizzate le spalle e quasi a fatica: “Anche il mio” le rispose. Non soddisfatta di quel convenire passivo, forse colpita dalla tristezza di quegli occhi lucidi, la bimba abbandonò al suo destino la palla che continuò la sua corsa sul prato e portando una manina a spostare la frangetta scompigliata dal vento, si avvicinò di nuovo al vecchio signore: “ Ti senti solo? “ chiese preoccupata “ Non esserlo. Ci sono io, qui, con te…”.
La brezza mattutina rinforzò in un alito violento e continuò la sua melodia viaggiando da cespuglio a cespuglio , da un angolo all’altro del prato; qualche rombo, ovattato dalla lontananza, manteneva, in una atmosfera di fiaba, il legame col mondo circostante, il profumo di un mare lontanissimo fermava l’istante come in una polaroid ormai a sbiadire. Lo lasciò un istante,e senza staccargli lo sguardo di dosso, recuperò la palla e, con le braccia tese, come fosse la cosa più naturale del mondo: “Sono sola” continuò “ mi accompagni dalla mia mamma?” e lasciò scivolare la sua manina in quella rigida del vecchio stringendogliela forte. Mi sembrò di avvertire quella stretta fra mani direttamente nel cuore: si dissolsero insieme, scomparendo alla vista oltre la curva della strada quasi non fossero, e forse non lo erano, mai esistiti … .
La vita, a modo mio?, diversa, molto diversa … .