….. - di Fancesco Briganti

09.09.2015 09:29

Bianco, sul panno verde , il foglio spicca e attende
Il lapis dalla punta acuminata e la promessa di un’idea lontana
Lenta, nel suo cammino verso la mano.
Gli occhi, chiusi al pulsare delle tempie, guardano
Una finestra di mondo in chiaroscuro
Libera dell’intorno imprigionante e colorato.
… ..

LA NOTTE DEI MIRACOLI

Russa. Ora leggera, ora pesante; raggomitolata su se stessa, piccola, tranquilla, quasi nessun pensiero al mondo: scivola nella notte che passa come foglia trascinata nel ruscello verso il mare. Mi giro e rigiro delicatamente per paura di svegliarla, alla fine mi arrendo: un’altra notte ha visto il suo culmine e per me è già finita, ancora ore alla luce del giorno e già l’ansia della prossima sembra incombere su quella successiva.

Mi alzo. E’ l’unica! Il soffitto è un orizzonte ormai troppe volte scrutato per essere di un qualche interesse possibile.

Dalla strada sale la luce dei lampioni illuminando di zone d’ombra la camera da letto. Uno sguardo dalla finestra, dall’altra sul giardino e ancora, sul tetto a spiovere verso il campo del vicino, i peschi e gli ulivi frusciano nel vento caldo della notte di fine estate: lontana Montecarlo riflette sulla valle le sue luci multicolori. Un silenzio rotto da qualche tardo o mattiniero rombo di motore ovatta tutto il circostante. I cani, in lontananza, gareggiano coi galli in una sanremo animale in cui grilli e cicale fanno da orchestra.

Un silenzio che è una sinfonia a perdersi verso il sole, a est.. .

Mi guardo intorno nella stanza: la caldaia continua ad accendersi e spegnersi colpa di chissà quale rubinetto lasciato, sconsolatamente, a perdere inutili gocce in una disperante illusione di esistenza; il crocifisso alla parete, chiusi gli occhi, mi guarda quasi a deridere i tanti sensi di colpa che continuano a vincere sull’amore dei suoi insegnamenti; la porta sempre aperta sul dormire della casa: due rampe di scale; la torre diventa “zona giorno” passando attraverso quella notte, regno dei ragazzi, del loro viverci, dei loro sogni e delle loro ambasce.

Di tutte le cose che conservano in attesa di una futura utilità.

Dalle finestre della sala e dalla veranda filtrano le luci del giardino, le cicale ed grilli hanno perso la loro battaglia con passeri, corvi e rondoni sperduti in caccia nel sorgere del giorno. Tuona in lontananza: una falsa speranza di piovosa frescura con l’unico risultato di un’ aumentata umidità. Lancio un cuscino sul divano con il vuoto desiderio di dormirci un po’ sopra: accendo la televisione, la spengo, la riaccendo: un triste via vai di offerte di sesso, senza senso, senza alcuna logica se non quella della solitudine.

Spengo e mi immergo lungo le scale del seminterrato.

La cucina è ampia e comoda, il lungo tavolo assiste fino a dodici commensali e se occorre può essere affiancato all’altro della sala accanto per diventare un quadrato da 20. Ronzano i motori all’unisono del frigo e del congelatore, più in là ecco il rubinetto che gocciola, lo stringo, ne ottengo una resa provvisoria perché, dopo un po’, ricomincia incurante dei miei sguardi assassini e degli sforzi ormai esausti di una caldaia in perenne, ed ormai in via di esaurimento, attività.

Gli giro le spalle promettendogli una vendetta totale.

Guardo le sedie una per una, risento le risate, le discussioni sulla grandezza della nazionale di calcio, le considerazioni sulla politica bastarda e utilitaristica di ogni governo possibile, mi rivedo al servizio d’ordine dei cortei di lotta continua, anni addietro, una sciarpa a coprire il viso, un bastone nella mano destra mentre la sinistra alzata a pugno promette cambiamenti al mondo intero; scuoto la testa ed accendo il fornello sotto il mio solito tè, verde e deteinato; l'acqua bolle disperata ed il pentolino sfrigola di fusione ...

nessuno ha mai cambiato niente, non io almeno, … se non me stesso.

Sorseggio la calda bevanda conscio del fatto di non reggere più nemmeno una tazza di caffé; neanche a dire che si giocava, la sera, a “ padrone e sotto” svuotando bottiglie di whisky in gara con gli studenti greci del piano inferiore, finendo il più delle volte a marciare ubriachi per via del proconsolo incuranti degli esami e dei doveri e della fiducia di quei “ fessi” dei nostri genitori nonché delle notti a venire lunghe a passare per quanto brevi sembrassero quelle. Tre cucchiaini di zucchero ed il tè continua ad essere amaro!.

Neanche lo zucchero è più quello di una volta.

L’alfa grigio metallizzata riflette il sole ormai alto, accendo il motore nell’afa incombente, ma in via di transumanza. Da qualche giorno sono finite le vacanze. Sono stanco, più di prima. Sogno il mare della mia terra: azzurro, limpido, profondo, freddo, infinito!. Mi tuffo dagli scogli della mia isola che non c'è, immergendomi fino al fondo scoglioso e fino al dolere delle tempie; risalgo piano; piano assieme alla nuvola di quelle bolle frammiste al catrame delle mille sigarette fumate. Aria, aria, aria ...

Riemergo dall'ipossia in cerca di quel respiro che, espulso sul fondo, forse speravo, non sarebbe stato sufficiente.

Mi avvio lungo un’altra giornata di lavoro, attraversando cose e persone nella attesa della prossima sera; delle prossime quattro, cinque ore di sonno che fanno di una notte, di ogni notte, la notte dei miracoli, perché domani, è, forse sarà, un altro giorno o almeno così dicono …

…e si ricomincia!.