... Dio del cielo ... - di Francesco Briganti

27.01.2016 10:21

Nebbia. A banchi. Densa, ovattata, spessa. Da attraversare come fosse un mondo sospeso dove il passo stesso coincide con lo scorrere del tempo: un passo un attimo, un altro ed un secondo ancora. Tutto tace, non si muove foglia e sembra che anche il cuore rallenti il proprio battito come fosse in attesa del prossimo respiro a confermare l'utilità del precedente in un andare che sembra essere senza fine.

Tenue, appena percettibile il chiarore di un lampione allarga sé stesso rimbalzando tra batuffoli avvolgenti. E' lì, poco distante a dettare la direzione e la speranza mentre il passo segue il passo frutti di un albero di memoria i cui rami si perdono nel passato ed i cui germogli propendono al futuro e sai che solo poco più in là o ancora un poco dopo l'orizzonte che ora sovrasta opprimente si allargherà nello spazio nel tempo e negli occhi.

Calpestano l'umido quasi fossero lacrime a determinarlo; gocce scendono lungo gote scavate dal freddo e colano le nari roride dell'attraversare. Rane, straniere, tremebonde o forse audaci, gracidano tentando colloqui in una lingua sconosciuta mentre, echi improvvisi lasciano intuire presenze non visibili eppure a seguirli quasi guardiani ad imporre controlli e mai a trasmettere compagnia e sicurezza. Si sveglia, piano, l'intero intorno dal proprio sonno stranamente immemore delle proprie paure eppure già in attesa di quelle a confermarsi e, mai o finalmente, a sparire.

Lento sale il fumo dai camini, greve scende la cenere dal cielo; impalpabile si perde con il sudore dei corpi da cui nasce nell'acre odore della morte a dire ai vivi che l'attesa non sempre arriva prima della fine. Lontano oltre il fumo,oltre l'odore, oltre la vita a perdersi nel vento, lentamente schiarisce l'est nel rombo sordo di un cannone ogni minuto più vicino, ogni minuto troppo lento, ogni minuto troppo tardi per chi dalle docce sia stato oramai lavato.

Abbaiano cani rabbiosi eccitati dal puzzo della carne che brucia e stomacati dal fetore che si spande da bestie a due zampe ad urlare, spingere e violare anime distrutte più dall'incredulità di un destino che dalle miserie altrui a renderle sacrificio dichiarato mai sufficiente ad impedirne il ripetersi nel domani più prossimo ed in quello che, essendo, sarà il più lontano.

E la nebbia diventa muro quando la cenere comincia a copulare con la neve: nasce una coltre a coprire, a nascondere, a vergognarsi di un infamia tanto inutile quanto impossibile da sotterrare.

Cade candida del rosso di un sangue innocente; sporca il senso di ogni cosa e di ognuno; uccide i martiri egli assassini, forse più gli assassini che i martiri la cui memoria, invece, resterà in eterno. Ad Auschwitz c'era la neve ... come a Gaza, come in Siria, come nel Mediterraneo, come ad ogni frontiera geografica e non, a sancire un limite ad un diritto, ad una eguaglianza, ad una sopravvivenza, ad una civiltà ...

che muore prima ancora di nascere!.