… E MAOMETTO E’ IL SUO PROFETA … - di Francesco Briganti

05.10.2013 07:38

Avevano lasciato l’Africa in quel giorno di ottobre, in quella che era una notte molto fredda imbarcandosi su di un motopeschereccio che galleggiava soltanto perché era meno faticoso che affondare.
Comprarsi il passaggio non era stato difficile, gli avevano detto come fare: aveva dovuto rubare, sacrificarsi nel porto ai lavori più umili, pietire i turisti per pochi centesimi, ma alla fine aveva aggiunto il suo nome alla folta schiera di pretendenti ad un sogno divenuto fonte di guadagno per miserabili commercianti di uomini. La barca … : qualcosa più di una zattera lunga una trentina di metri; scorticata e abrasa dal sale emana un odore di carburante e pesce misti insieme che bruciavano la gola e sovvertivano lo stomaco; uomini brutali li spingevano su per la passerella con la stessa delicatezza con acui avrebbero inseguito dei maiali; lo donne stringevano a sé dei bimbi spauriti coprendo loro la faccia che non vedessero lo scempio dell’uomo sull’uomo. A bordo gli uni agli altri stipati e stretti in una sorta di gabbia fatta di uomini ad imprigionare altri uomini; un celo immenso ed appena velato di nubi sopra la testa eppure una fatica a respirare come nella più profonda delle segrete. La prua saliva e scendeva fronte a quelle onde che lentamente avevano infradiciato ogni cosa mentre l’imbarcazione arrancava a fatica ad ogni risalita verso quell’orizzonte scuro mobile e veloce in direzione opposta quasi volesse non farsi raggiungere.
Si erano imbarcati di notte, sfuggendo tutti i controlli; gli nuovi accordi italo libici in realtà fornivano soltanto nuovi schiavi al potere quello vecchio prima e quello nuovo dopo. Presi ad imbarcarsi clandestinamente finivano, in catene, nei campi di lavoro e nelle miniere di sale. Oltrepassare il mare; un fuga avventurosa e avventuriera verso il paese del sole, della favola televisiva; verso le belle donne ed i giochi che distribuivano milioni a bianchi e neri senza distinzione e senza problemi, Verso quelle opportunità fantastiche e fantasiose che avrebbero aiutato ognuno a ritrovare la condizione dignitosa che è propria dell’uomo libero, verso quel paese che, aprendo loro le braccia, li avrebbe finalmente trattati e lasciati vivere da esseri umani. Miracoli di un satellite, maledetto pusher di fandonie, che trasformava un popolo immemore in un paradiso inesistente.
Ore passate, stretti, sempre più stretti gli uni agli altri, nel timore che ogni onda potesse essere l’ultima che la barca superava. Non una luce in cielo: le stelle stanche di cose già viste nascoste dalle nuvole nere e dalla coscienza di una storia a ripetersi: offuscate dalla brace di qualche sigaretta a bruciare cinica tra le labbra dei marinai. Ogni goccia di pioggia diluiva il salmastro del mare e delle lacrime dei bimbi, delle mamme, dei padri …, ogni brivido di freddo affratellava il vicino col vicino e col vicino ancora lasciando indifferenti quei bastardi che, pagati a fior di sacrifici, li lasciavano, simulacri della paura e della disperazione, in balia ed alla furia di una natura e dell’ignoto che sembravano voler avvisare che i sogni spesso si spostano dalla tolda di un galleggiare al profondo di un mare sepolcrale.
Brutto l’inizio verso la speranza quando la via ed il modo on quelli delle bestie al macello: le pessime condizioni del mare, il freddo intenso, la brutalità dei marinai, tutto questo non era per lui, per ciascuno di loro, che parte delle prove da superare per arrivare alla meta. Ciascuno sapeva, sperava, di essere come quell’eroe di cui si raccontava nelle sere attorno ai fuochi o durante il viaggio nel deserto, quando stanchi ed assisi, in attesa di poter proseguire, si stava a bere una tazza di the caldo, corroborante e profumato; quell’eroe che attraverso mille, tra sacrifici e battaglie, era poi riuscito a sposare la principessa ed a diventare il sultano dei sultani. “ Dammi forza o Signore, “ pregavano “ e te ne renderò gloria in eterno.”
Li avevano buttati in mare a poca distanza dalla riva, ma quei pochi metri, in quel mare strenuo e deciso ad opporre l’ultima resistenza ad un’invasione disperata, sembrarono l'oceano intero. Annaspavano, la mamme con i bimbi al collo e poi i padri a tentar di tenerli uniti, a galla, a respirare aria ed acqua nel tentativo di imparare all’istante movimenti per loro innaturali e alieni; e poi affondare e risalire ed ancora affondare sostenuti all’inverosimile da un mare pietoso suo malgrado ed ancora affondare e sparire e sprofondare abbracciati oramai finiti e morti prima ancora di morire respirando sale ed acqua nella più stupida delle morti possibili. Una donna con un bimbo annaspò, ed in un ultimo tentativo d’amore lanciò il suo bimbo verso che sembrare saper domare il mare e poi scomparve tra le onde, seguita da molti che privi di ogni nozione di nuoto si agitarono quei pochi minuti prima della fine. L’uomo abbranco il bimbo fradicio ed urlante; avrebbe voluto far qualcosa, avrebbe voluto essere Dio per aiutare quei disgraziati, ma alla fine la paura di non riuscire, per loro, per il bimbo e per sé, era stata più forte spingendolo a nuotare e a nuotare e a nuotare ancora finché non sentì la sabbia graffargli la faccia. Spossato, lasciò che li amre andassse e venisse lungo la sua schiena e quella del fagotto che aveva adagiato al suo fianco; il vento e la pioggia soffiavano e cadevano ed urlavano ad ogni nuovo scampato che riusciva a cogliere l’insperato traguardo: Il sole oramai, aveva già illuminato la loro terra lontana, ma qui ancora non aveva il coraggio di affacciarsi sulla tragedia SULLA QUALE ERA APPENA SCESO UN SUDARIO. Eran partiti in più di cinquecento ed attorno a sé non vedeva che poche decine di anime. Si girò verso il fagotto stranamente silenzioso e calmo; scostò dal visino i lembi di una coperta appiccicatasi alla pelle come carta moschicida: degli occhi neri e profondi come la notte che stava passando, ma sbarrati e vitrei, come quelli del più profondo degli inferni, lo fissarono illusi e delusi di non saper più respirare. Ricopri delicatamente quel martirio bluastro e volti gli occhi al cielo : “ ALLAH AC BAR “ pregò e maledisse ed urlò
in un impeto di rabbia, di dolore, di gioia nel mentre che voci lontani, motori e fotoelettriche improvvise davano il seguito ad una calvario che, lungi dall’esser terminato, non era invece, che APPENA ALLA SUA SECONDA STAZIONE!.