… e quindi uscimmo a riveder le stelle … - di Francesco Briganti

31.08.2015 09:13

L’arancione ad est, un blu profondo ad ovest e venti centesimi di luna nel cielo. Venere a brillare per ultima, due scie aeree a spingersi incontro ad un’alba imminente ed un pensiero costante a rotolarsi tra le orecchie: “ … in fondo non mi sembra tu faccia la rivoluzione con quello che scrivi …”. La noia e la frustrazione dell’accorgersi della inutilità soggettiva di ciò che si fa credendo di fare qualcosa di utile.

In realtà, ma dovrebbe essere cosa risaputa ai più oramai, io non scrivo per gli altri; lo faccio per puro egoismo e per dare uno sfogo a quella pressione mentale che a volte rischia di essere pericolosa persino per me stesso. Scrivere è la mia finestra a respirare, è la mia liberazione da un mondo che non mi piace, è il mio ricercare un contatto umano con altre persone senza correre il rischio della delusione, della amicizia interessata, del rapporto interpersonale destinato, come ogni cosa, a finire in farsa o tragedia o ridicolo. Dunque è il mio modo, del tutto soggettivo, di raccontare a me stesso il senso di una vita, la mia, che molto spesso, anche a me stesso, sembra vuota ed inefficace.

La ragione, quando le do lo spazio che merita, mi racconta dell’importanza di ciò che ho fatto; rende spiegazioni a tutto ciò che di brutto mi è accaduto; si accalora nei ricordi belli e dei successi incontestabili che, anche io, come chiunque altro, posso vantare. Si fa garante logica di ciò di cui dovrei, forse, pentirmi sostituendo con i rimorsi, rimuovibili per loro stessa natura e decisione divina, quei sentire che altrimenti sarebbero rimpianti invece mai più disposti a venire dimenticati. Quindi, io so se mi ragiono, che un senso comunque esiste nella mia esistenza; eppure continua ad essere sin troppo facile la possibilità che qualcuno, con quattro parole messe in fila, mi induca a riconsiderarmi spingendomi in auto analisi.

Perciò l’egoismo. Il considerare la propria vita auto sufficiente e completamente staccata dall’altrui essere come forma di difesa estrema disposta a considerare possibili tutti gli aspetti negativi del divenire onde non doverne soffrire troppo consentendo a quel poco di buono che ogni tanto capita di diventare fonte di soddisfazione sopraffina ed esaustiva. Chiarito questo, il passo successivo è la disincantata visione degli intorni.

Se guardi lo spettacolo da spettatore e non da attore, protagonista o comparsa che fosse, ti accorgi che ciascuno recita secondo un proprio canovaccio personale; ciascuno è pronto a giudicare, ma non ad essere giudicato, nessuno dà mai mostra di guardare a sé stesso parlandosi della propria valutazione: ciascuno, io ne sono l’esempio, crede di rendersi utile, semplicemente soddisfacendo, rivalutando, elevando ad un rango importante, il suo solo proprio esistere quale che fosse la propria professione, il proprio impegno, il proprio credo politico o religioso. L’uomo è un animale egocentrico che si ritiene in cima ad ogni catena: ciascuno quale vertice del creato; se non degli altri, del proprio!.

Dunque ha perfettamente ragione l’amico che mi riporta con i piedi in terra sventolandomi in faccia l’inutilità del mio scrivere, descrivere, raccontare. No, io non faccio una rivoluzione comunemente così come la si intende nella accezione guerrafondaia e sovversiva. Io faccio la mia rivoluzione; la personalizzo, glie ne rendo ragione, le do quel carattere sostanziale e quel significato che probabilmente non avrebbe non riuscendo ad essere né risolvente né esaustiva.

E’, la mia, una rivolta dai guadagni estemporanei e del tutto soggettivi, destinata ad essere sconfitta dal sistema ed è completamente inefficace se considerata dall’ottica del bene comune; è solitaria lungo un percorso che non trova mai compagni di viaggio se non nella disperazione di chi vi è costretto, giocoforza, dalle proprie vicissitudini, giacché tutti gli altri hanno troppo, ancora e per il momento, da perdere per aggregarsi ad un’avventura troppo costosa per quanto sarebbero disposti a spendere; sempre ammesso che lo fossero … disposti a spendere qualcosa!.

Ecco perché anche un satellite, un corpo celeste grande quanto un mondo, in fondo è solo grande quanto si vede guardando in su e sembra avere le dimensioni di una moneta da venti centesimi; ciascuno di noi non riesce a vedere quanto grande sia la propria esistenza; quindi ognuno, si accontenta, sopporta, si adatta ed alla fine si arrende. Ognuno vede sé stesso come se guardasse alla luna dalla terra e trova giusto annichilire gli altri per giustificare il proprio cammino mentre, in fondo, basterebbe, e questo vale per tutti, credere di essere la luna per rendersi conto che si potrebbe contribuire …

al cambiamento della terra!.