… e se non ora … - di Francesco Briganti

17.05.2015 07:42

L’alba di una domenica mattina.

E’ fresco!, la temperatura, da buona cristiana, tentenna!. Indecisa tra un “oggi sarà dura” per la pioggia minacciata da un “fermati primavera … c’è ancora da aspettare” ed un “basta rimandare, arrivano le rondini”, lascia sconcertato ed attonito chI si affacciasse a godere dei primi mattinieri usignoli ad invocare un sole in perenne viatico dall’oriente all’occidente. Maggio, oltre il suo mezzo, per il momento si limita a questo. Qualche falena si attarda o si appresta a spasso per fiori; qualche civetta sparsa dà segni inconfondibili con occhi ad accendersi come lampioni intermittenti da rami lontani; il cane a scodinzolare in attesa di quel tozzo di pane duro, per il quale, ogni mattina, sacrificherebbe la coda ed ogni neofita ministra un po’ carina a sbattere gli occhioni in attesa di un regale cenno d’intesa … se solo conoscesse anche quel infimo livello.

Tutto è pace; pochi rumori ed il sottofondo cacofonico ed autoctono del feriale tarda a manifestarsi. Leggero, invitante ed insonne un timido aroma di caffè sfugge da una finestra aperta in un cambio d’atmosfera più che di aria notturna e stantia. Timida e sommessa una radio soliloquia tenue musica italiana, ed il giardino profuma di terra ancora umida della notte al suo finire. Nell’aria la fantasia di un profumo marino ed il bisogno di una vacanza sono entrambi troppo lontani e poco credibili per essere anche qualcosa più di una immaginazione. La siepe, comune a più giardini, fa del borgo quasi un agglomerato di isolette, ciascuna a vista delle altre, ognuna porto privato e certo di una singolare privacy, a volte obbligata, a volte oltre l’effettiva esigenza.

La memoria di tempi andati, se vuoi nemmeno troppo lontani rammenta quanto la vita fosse diversa. Già come oggi e sin dalle prime luci “ … ogni esterno era un divenire continuo di vita che dal chiuso si trasferiva all’esterno; il verde domenicale era meta di cure di un cervello rilassato a riposare il corpo stanco di una settimana; voci si rincorrevano in saluti; scrosci d’acqua annunciavano estemporanei autolavaggi; qualche bimba canterina ricordava al mondo un “svegliatevi bambine” dall’accento dolce e strascicato più paradisiaco che infernale. E, poi,sul finir della mattina dai barbecue, modelli originali o costruzioni fantasiose e futuristicamente pretenziose, si alzavano gli aromi di carne o di pesce lasciati ad assaporarsi alla brace lenta del legno d’ulivo o di quello di quercia mentre si spandevano il mirto frammisto all’aglio ed al lauro ed alla salvia a creare un’intimità diffusa dell’uno a dire all’altro:” ecco questo è il mio pranzo, oh te!, tu cosa mangi?”. Senza imbarazzo alcuno con una messa in gioco del festoso unico di ognuno nel tutto condiviso, a ciascuno il suo, di ognuno degli altri. “

Poi la festiva visita alla sagra, qui o là, purché caciarona e motivo di spasso per i bimbi o ulteriore occasione per rivedersi, scambiare quattro chiacchiere o, ancora, spendere, quasi fosse asta di una Sotheby’ s paesana qualche euro sovra numerario, fuoriuscita lasciva e rassicurante di un benessere tranquillo. E, finalmente, la sera del dì di festa: “ si tiravano l’una, le due di notte, parlando, ridendo, e smoccolando una parola sì e l’altra pure come è d’uso comune in questa terra toscana, patria per scelta e per antica genesi familiare.

" E mentre gli uomini sproloquiavano di politica, di calcio o di donne, queste ultime lo facevano dei mariti infingardi, delle ultime dicerie, dei figli che crescevano. I cani, amici di coda e di fiuto, partecipavano alla festosità generale, l’uno abbaiando all’altro attraverso le siepi un bau “ … qui tutto va bene …”, a cui rispondevano a inseguirsi i tanti “ … anche qui …” che nel giro di secondi ricordavano agli umani il gesto del lancio di un osso, di una carezza affettuosa, di un “ … stai zitto, bastardone che non sei altro …!” altrettanto amorevole come il pane o l’osso da spolpare.” Poi e quasi al unisono, tutte le luci venivano spente di modo che non disturbassero la visione di qualche stella cadente che nel suo andare realizzasse l’accendersi di qualche sogno sognato nel più fantasioso ed impossibile dei modi ”.

I tempi sono cambiati; il tempo è cambiato!.

Gli anni passano ed il quotidiano di ognuno si perde in mille rivoli tra il tran tran dei pochi ed il difficoltoso ed il disperato dei troppi; la crisi corazza e dagli altri allontana i forti; indurisce gli animi nelle difese estreme del poco che rimane o riesce a sopravvivere; uccide senza pietà e senza tregua alcuna chi, in un attimo di abbandono, decide che : sì!, quello è il momento per dire basta … e se ne va; quando definitivamente, quando soggiacendo alla follia, quando lasciandosi perdere per strade senza più dimora, senza più affetti, senza possibili ritorni neppure retti da una qualche piccola inutile speranza.

I tempi cambiano in un continuo divenire sembrando all’anima la fatica di una salita nel mentre che si è a rotolare per una ripida discesa. Il tempo passa per me come per tutti!. Tra poco, i miei, saranno sessanta tre gli anni che mi hanno visto attore, a volte, assoluta comparsa, in un andare non sempre scelto, non sempre consapevole, quasi mai rispondente ad un progetto realizzato così come si voleva dal suo inizio alla sua fine. Eppure, il pensiero è sempre quello del ragazzo diciottenne che guarda al suo futuro architettandolo i particolari minimi quasi fossero quelli la cosa più importante e non la scena generale.

Ancora oggi, quando, durante una notte insonne, con un libro lasciato cadere sulle ginocchia lascio andare il filo neurale a correre senza freni, mi consento di credere che tutto, comunque, sia possibile, che tutto ancora non sia perduto e che, per quanto amaro sia il sapore ad inasprire il gusto, non è stato solo tempo sciupato e del proprio trascorso, forse, qualcosa, molto può darsi, val bene la pena di salvare.

"E allora abbandono i ricordi degli anni più giovani; le memorie dei vecchi amici persi o passati a quella miglior vita di cui tanto si ciancia e di cui nessuno è sicuro; dei vecchi amori, comunque malinconici anche se, di certo, non migliori dell’esistente; di passate occasioni sfruttate o lasciate per strada; di qualche rimpianto e dei tantissimi rimorsi che hanno fatto e fanno di un bimbo un adolescente e quindi un uomo o una donna avviati alla perpetuazione di una specie che tutto sembra tranne che fatta ad immagine e somiglianza di un qualche dio celeste."

E’ domenica, è festa, il sole è ormai già alto e sta solo a me, sta ad ognuno, anche iniziando da stamane, dare quella sterzata a consentire a ciascuna vita di cambiare il proprio mondo …

quando in fondo a questo si vedesse solo un muro.