... e sono già dieci sigarette ... - di Francesco Briganti

28.11.2015 10:00

Meno due. Sono appena rientrato: è il sabato di una gelida mattina di fine autunno. La moglie nel suo giorno libero a scuola se la dorme della grossa; la figlia, libera, anche lei, dall'università, credo abbia in programma di alzarsi non prima delle dodici ed il figlio è a Genova con gli amici. La casa è calda e silenziosa; splendida tana rifugio dopo una lunga passeggiata nel cercare di rassicurare naso ed orecchie che non sarebbero caduti via.

Le auto diligentemente parcheggiate l'una dietro l'altra sono bianche di una brina che scricchiolando sotto i piedi ha accompagnato i miei passi lungo il cammino. Le finestre che negli altri giorni sono già illuminate dalla frenesia in divenire mi hanno osservato passare silenziose nella loro opacità. Il club delle sei al bar della Tiziana annovera, come presenze e nel prefestivo, soltanto gli insonni per abitudine, gli stakanovisti a prescindere ed i pazzi come me; in realtà, stamane, tutte e tre le categorie si si sono riconosciute in una sola persona: me.

In questo momento sta schiarendosi il fuori della finestra. Non si sente volare una mosca ed il rumore è soltanto quello dei miei pensieri che si scontrano tra le orecchie. Mi capita spesso di credere che potrebbero aver di meglio da fare che rincorrersi lungo i miei due o tre neuroni funzionanti;; riuscirebbero, così, a non rompermi le scatole; potrebbe persino succedere che incontrassi dodici ore di sonno salvifico; potrei addirittura sentirmi rilassato e tranquillo.

Invece no!. Corrono, vagando per i ricordi, le occasioni saltate, quelle colte, i successi, gli insuccessi, i se, i forse ed i ma. Si parlano e si scontrano; si azzuffano e si odiano;si riappacificano per di nuovo scontrarsi al bivio di un possibile, deluso o sorpreso da un accaduto; si pentono, si esaltano, si abbattono e si inorgogliscono trasformando, in un caleidoscopio di lampi elettrici e di scambi chimici, un ammasso, sempre vivo quantunque stanco, di materia grigia in un campo di battaglia senza né vinti né vincitori: e poi dicono che al cuor non si comanda; non è affatto vero, è il cervello l'unico padrone a comandare, che poi il cuore se ne fotta, beh!, questo è un altro discorso.

Pazzo; scriteriato; disadattato o semplicemente stufo genetico di un mondo che a ben vedere non è che tanto mi sia mai piaciuto se è vero, come è vero, che il mio più grande desiderio è sempre stato quello di un'isola deserta, di una capanna sul mare, e del necessario per pescare.

Le albe, i tramonti, il rumore delle onde ed il vento a salare la pelle; il sole ad abbronzarla nell'estasi di uno stormo a volare alto nel cielo o a tuffarsi intrepido nell'azzurro più profondo. Il profumo iodato, quello della sabbia umida o fradicia di pioggia, il fumo di una ciminiera lontana che scorre lenta all'orizzonte; la pace di un Adamo perso nel universo in attesa di una Eva con i suoi stessi desideri.

Nessuna domanda cui occorra risposta, nessun domani da programmare in anticipo; nulla ad accadere cui serva una dietrologia analitica, nessuna paranoica frustrazione, nessuno a dirigere o a sottomettere o a giudicare se non quella voglia di continuare senza regole, senza paletti, senza convenzioni e convinzioni: la libertà allo stato puro. Uomo e natura, punto e basta!.

L'apoteosi del vivere per il gusto e non per forza, per desiderio di conquista, di rivincita, di supremazia o ricchezza fossero pure solo etiche e non materiali. Vivere ... vivere!.

E' chiaro fuori. Il blu è diventato un bianco pallido indeciso se volgere al celeste o restare candido di inverno. Il sole è ancora nascosto dietro le colline pistoiesi, forse sciopera stamattina o forse no; anche lui sa che tanto non servirebbe. E' sabato e tant'è se hai un cervello crumiro ...

che se ne va per i cazzi suoi.