… ei fu siccome immobile … - di Francesco Briganti

18.11.2014 08:08

Qui dove abito continua a piovere; il cielo è di un nero lutto pieno e le nuvole si rincorrono veloci dal mare verso gli Appennini; dicono che da domani migliora, speriamo che almeno in questo i soloni mediatici, pagati perché dicano ciò che dovrebbero sapere, ci azzecchino.
Qui il maltempo è stato greve e violento, ma non distruttore ed assassino; il nostro bravo sindaco ha doverosamente diramato più volte l’allerta meteo tramite telefonate garbate o avvisi su face book ricevendone subito sviscerati elogi e sperticate dichiarazioni per l’ottimo lavoro svolto. Non suoni offesa per nessuno, ma a me sono sembrate tutte o delle amorevoli prese in giro oppure delle esternazioni eccessive al punto da rasentare il “lecchinaggio” da parte di quelle persone che vedono nella forma e non nella sostanza la ragione di una quotidianità soddisfatta.
Cosa avrebbe potuto nella circostanza fare di diverso il nostro bravo sindaco?; io non lo so e per la verità molto poco mi interessa. Non ce l’ho con lui in quanto persona che, a dire il vero, è la quinta essenza del gran lavoratore, dell’onestà materiale, della pedissequa osservanza all’iter sistematico dell’ordine costituito. Non è un gran merito giacché le suddette qualità in un paese normale sono la norma generale, ma trovarne in Italia persone specchiatamente tali non è cosa altrettanto comune. Eppure, io ce l’ho con il mio sindaco, in quanto politico ed in quanto esponente di una sinistra che non riesce a capire quanto essere normalizzata ad un sistema sbagliato sia contro producente per sé stessa, per i propri esponenti e, prima di ogni altra considerazione, per quei cittadini che la scelgono, sempre meno, i cui interessi e prima ancora i diritti vengono sempre più calpestati e vilipesi. Esperienze personali mi danno la possibilità di affermarlo senza tema di smentita.
Prendete il sindaco di Roma, quel Marino esponente, una volta della sinistra sinistra e non di quell’acqua di rose renziana scolorata e sciapa. Da una persona come lui avrei preteso, fossi stato uno dei romani che hanno contribuito ad eleggerlo, una rottura degli schemi, una rivoluzione intellettuale a precedere quella materiale, un comportamento teso alla sorpresa fattiva, un decisionismo oltre le regole funzione di una risoluzione dei problemi esistenti.
Prendete il sindaco di Parma, quel Pizzarotti dei cinque stelle eletto a furor di popolo e sull’onda dei vaffanculo grillini. Da una persona con queste caratteristiche mi sarei aspettato una rottura, rischiosa e dirimente, del patto di stabilità; una denuncia continua delle storture di una burocrazia del potere che lega e soffoca ogni iniziativa, una richiesta, forte e decisa, a che i parmensi gli si radunassero intorno a rendersi complici con lui, dividendone la responsabilità, a che finalmente si potesse cominciare e dal basso quella rivoluzione pacifica e gandhiana che, in realtà, in questo paese nessuno ha il coraggio di realizzare essendone il costo materiale troppo legato a quelle miserabili parvenze di borghesia che, per fortuna o per disgrazia ancora molti ritengono di avere. Quei molti non sanno, non vogliono vedere, quanto vicina sia l’ora in cui toccherà anche a loro.
Il compito vero di un esponente politico di base: un sindaco, un assessore, un consigliere comunale, non è solo quello di essere un onesto e solerte funzionario, essendo questo e come dicevo un carattere di una normalità lapalissiana, ma dovrebbe essere quello di distinguersi, quale che fosse la propria idea della cosa comune, nel rendere più agevole la vita dei propri concittadini. Dovrebbe farlo con assunzioni di responsabilità politiche chiare e ben definite, dovrebbe assumere il ruolo di condottiero, dovrebbe essere il primo cittadino alla testa di una rottura di schemi che oramai cingono alla gola chiunque non abbia come look a mostrare un maglioncino a collo alto o un orologio su di un polsino.
Succede, invece, che una volta giunti sullo scranno del potere, quello più funzionale e più rappresentativo e legittimo, questi signori, o la stragrande maggioranza di essi, solo per questo si ritengano soddisfatti e realizzati, i più coraggiosi si limitano a prendere atto dello statu quo e di fronte ad esso si arrendono e con una alzata di spalle rispondono che: “ … non posso fare nulla!, il potere centrale mi lega le mani … “.
Ditemi o sindaci dei miei stivali, quale che sia il vostro colore, se non siete capaci d’altro se non di fare i funzionari, schiavi confessi, del potere centrale a che pro sceglierne uno anziché l’altro?
“ Cantami o diva, del Pelide Achille, l’ira funesta che infiniti lutti addusse agli Achei …”: cantava Omero migliaia di anni fa; parlava di un eroe e di un lottatore in tempi in cui essere semi dei dava privilegi e fortune; poi venne un altro poeta, un altro uomo, capace di rendersi Dio, quest’uomo disse, presagendo il proprio destino: “ … vi tolgo la pace, vi porto la mia pace … “. Da voi egregi signori eletti alle soglie del potere non si pretende né di essere semi dei né tanto meno di diventare degli dei, da voi è legittimo pretendere, però, almeno …

che siate uomini!.