Fa fresco la mattina … - di Francesco Briganti

06.09.2013 08:10

Di ritorno dalla mia passeggiata mattutina, fumando la terza o la quarta delle mie mille sigarette giornaliere, mi sono fermato sul margine del piccolo prato antistante la resede di casa: mi era riuscito a farne una spianata, eh, eh, 4x 5 non di più, ma mi piace esagerare, di menta, quella forte e quella un po’ meno aromatica e più delicata, ottima da mischiare con il rosso delle uova sode e la maionese per poi riempire di nuovo il albume rassodato; un’ottima cena, ipercalorica se volete, ma con un bel frizzantino di bottega, bianco, fresco al punto giusto, un paio di fette di pane e un pezzetto di provolone piccante, esaustiva anche per le bocche più esigenti. Lo ho trovato tutto rinsecchito!, e dato che prima non l’avevo notato, ho immediatamente cercato di capire cosa fosse successo. Mi ci sono inoltrato in mezzo sollevandone un aroma paradisiaco che, inteso, si è andato a mischiare con quello più selvatico della siepe di alloro: macchie di calce, spare un po’ qui ed un po’ là, hanno bruciato alcune piante di menta, il cespuglio di basilico e, come una sorta di infezione, stavano assassinando l’intero praticello. I muratori a reintonacare il muretto, ottimo il lavoro eseguito, avevano, però, dato la stura al genocidio di una distesa erbosa. Ho una parte del mio corpo che mi piace particolarmente; mi diverte solleticarla, spingerla oltre i consueti limiti, farne soggetto di estemporanee e indipendenti voli pindarici, di eccitazione autonome da piccoli e quotidiani particolari, ne traggo delle soddisfazioni che solo chi abbia la stessa considerazione può comprendere appieno; non siate maliziosi, sto parlando del cervello e della sua rete di rapporti neuronici, comunemente chiamato pensiero e di quella sua capacità, partendo da un nonnulla e attravero una consecutio di cause ed effetti, arrivare ad un traguardo con nessun collegamento con il particolare da cui il tutto è partito. Quelle macchi di calce, mi hanno riportato a face book ed au storia che un amico mi ha trasmesso via messaggio e che, se permettete vi riporto: “ C’era una volta un’azienda; una di quelle ritenute ovunque come: prospere, con del personale qualificato ai compiti assegnati, con dei dirigenti esperti e professorali nelle loro mansioni, con un apparato burocratico ed amministrativo tra i migliori esistenti; insomma, una di quelle, credute, leader nel proprio settore e, se non al primo, di certo tra le prime in Europa. Per quanto non fosse un’azienda a conduzione familiare, quale lo è?!, l’atmosfera respirata ed apparente tra ciascuno dei tutti con ognuno degli altri si mostrava improntato alla massima cordialità e collaborazione nello spirito condiviso della partecipazione e dell’interesse comune per sé stessi e per l’azienda. Ma, come ogni cosa a questo mondo, quella che sembrava essere la realizzazione di una favola non era altro che un castello di carte, costruito sulla sabbia in un giorno di tempesta marina. Infatti, quando la crisi internazionale prese a colpire indifferentemente a tappeto, quell’azienda cominciò a pentirsi dei gadget, degli sprechi, dei lunghi week end offerti, delle luculliane cene e dei fastosi pranzi, della faciloneria con cui l’amministrazione quotidiana veniva gestita e, quindi ed alle strette, senza badare agli innocenti ed anzi considerando tutti a prescindere dei colpevoli, senza preoccuparsi di verifiche necessarie ed importanti, senza avere il coraggio di una assunzione piena di responsabilità, propria di chi avrebbe dovuto controllare che tutto continuasse, quando mai l’avesse fatto, in modo pulito e con la mente al futuro, pensò bene di riportare in cassa quanto più fosse possibile. Dalle tasche di chi non fu importante, non fu oggettivo, non fu sostanziale: incassare, incassare ed ancora incassare diventò l’unico solo, vero, assoluto obiettivo. Che ci fossero colpevoli oggettivamente tali, era certo; che fossero colpevoli per volontà soggettiva, poteva essere, così come poteva essere che l’incapacità, l’inadeguatezza di alcuni o la loro sopravvalutazione o lo sfruttamento di altri fossero alla base dei disguidi e delle mancanze diffuse; di certo fu che l’intero parco collaboratori, quello da cui si era certi di poter prendere senza troppi fastidi, fu investito dalla tempesta e chiamato a pagarne le conseguenze. Ci fu chi reagì, temendo per il proprio posto di lavoro o ringraziando Iddio di essersela cavata a buon mercato, tacendo e continuando come se nulla fosse; chi deluso dall’atteggiamento riservatogli preferì andarsene insalutato ospite; chi fu mandato via e chi, sentendosi colpito ingiustamente ed anzi e di più ritenendosi vittima ed affatto colluso, complice o colpevole cercò prima di essere collaborativo, mettendosi a disposizione, senza però mai tralaciare di dire la sua restando comunque inascoltato ed anzi venendone trattato subdolamente come un profittatore o come un ingrato rivoltoso. “ Dio ti guardi dall’ira dei giusti “ dice la Bibbia e fu così che poco a poco gli innocenti cominciarono a reagire a tutela del proprio onore ed interesse e la situazione degenerò; la familiarità si interruppe in un farisaico rapporto, ciascuno palesò di pensare ai casi suoi, e si giunse ad una situazione di guerra tra poveri a nulla utile se non a chi pesca nel torbido. Le vie legali cominciarono ad arricchire gli studi appositi ed il tutto perché chi avrebbe dovuto seguire l’unica via corretta confrontandosi all’americana con i responsabili, non aveva sentito la necessità di farlo, forse perché questo avrebbe significato quell’assunzione di responsabilità diretta che non c’era mai stata o, peggio, perché non sarebbe convenuto farlo. Alla fine l’intera azienda crollò sotto il peso degli errori commessi, ma, anche e soprattutto, per il contagio che gli innocenti in rivolta avevano esteso all’intero praticello di dipendenti, stanche delle ragioni di una proprietà auto convintasi di essere l’unica nel giusto .” Dunque: una passeggiata, un profumo di menta, una macchia di calce, un prato che muore, una storia come tante in questo paese; questo paese, la sua gente, la sua politica, un governo, una condizione di disagio diffusa sempre più, una ignavia ad impedire il peggio tra i futuri possibili: il tutto nello spazio di qualche frazione di secondo. Un lampo neuronale in un cervello allenato a fare due più due. Ho preso la pompa dell’acqua, ho letteralmente inondato il praticello, ho estirpato le piantine bruciate e mentre nell’aria si è avvertita come una fragranza nuova ho avuto la certezza di aver fatto la cosa giusta al momento giusto. Ho ridato dignità e vitalità ad un parterre morente e, quando non avessi fatto altro, gli ho ridato una speranza di vita per il futuro, perché morti per morti … . TU, POPOLO, quando prenderai la tua personale pompa dell’acqua?.