... feel me ... - di Francesco Briganti

01.05.2016 11:51

Nuvole grigie, alte, cariche, dense e fitte come fossero in un treno di pendolari; stazionano, come bloccate nella totalità del cielo colorando di un metallizzato plumbeo l'aspetto di ogni cosa. La strada scorre fradicia di pioggia, intervallando oceani "pozzangherosi" a tratti asciutti quasi pista di formula uno.

Ai lati alberi: acacie, pini, querce, qualche occasionale ciliegio, si alternano a foreste improvvise che lo sguardo penetra a fatica per raggiunger quel casolare lontano, qualche cascina sperduta, dei recinti sparsi ad accogliere cavalli e poni, attesi al sogno di una libertà tanto agognata quanto negata: bradi in una finzione, da steccato a steccato, a simulare la fantasia di un ossigeno corto di un asmatico fumatore.

Improvvisi, sbuffi di nebbia, immediata foschia, densa a credersi nuvola atterrata, richiedono l'uso dei fari per quel istante secondo a far sentire persi, ritrovati, finalmente aperti incontro ad un mondo che scompare e riappare costruzione scenica di una primavera indecisa se crescere ad un estate rigogliosa o regredire bambina ad un tardo vecchio inverno passato mentre l'auto va, ferma ed attonita, in un universo che le scorre al di fuori, immemore, forse incurante, di passeggeri e pensieri che, in automatico, eseguono movimenti a portare da A a B e da B ad A routine rassegnata di un tempo in divenire.

Squarcia, lontano ad est e basso sull'orizzonte, un sole d'acqua il cui calore fa a pugno con l'umido penetrato nelle ossa; involontario cresce dal profondo quel brivido aviario che accappona la pelle e stringe nel petto i cuori sognatori; il grigio tenta uno scacco improvviso, ma si accende un barlume d'azzurro, strenuo a ricordare che il tempo del vecchio inverno è finito ed il destino di ognuno è quello di evolvere verso momenti migliori; uno scroscio di lacrime celesti accende il self dei tergicristalli nel momento stesso che l'astro nasconde la propria vergogna dietro il nero di un nembo vincitore.

Corre la mente oltre l'ostacolo di vetro e precorre le curve là in fondo. Il semaforo all'incrocio occhieggia bastardo attendendo il tuo arrivo. Rosso ... rosso ... e rosso ancora, l'orologio sembra voglia fermare il suo correre prezioso in attesa di quella speranza a riprendere il cammino e, poi via, verso quel viaggiare che non va da nessuna parte se non in quello spazio mnemonico dei tanti se e dei tanti ma che sposandosi al condizionale potevano di fare di ogni vita una vita diversa.

E respiri; inebri i polmoni di quell'aria pulita e fresca che dalla campagna purifica un abitacolo a puzzare di fumo rancido e di troppe sigarette consumate. Il profumo dell'erba pregna di pioggia e della terra smossa insinua ricordi di funghi e di camminate imbacuccate a far da culla ambiziosa ad albe stanche di notti insonni troppo lunghe per essere vere, troppo sature di dubbi e domande per avere anche solo qualche incasinata risposta. Corri, perché questa è la tua voglia, forse il tuo destino!

Scarti di lato evitando quel gatto suicida assassino ad attraversarti la strada quasi fosse nato apposta per fermarsi fermandoti una volta e per tutte. Hai sfiorato l'ennesimo albero mentre il mezzo in testacoda se ne andava per proprio conto nel silenzio assoluto e fortunato del vuoto tutt'intorno; malfermo su gambe burrose sei sceso a guardare l'animale che a sua volta si gira quasi lanciando un vaffanculo impietoso che nasconde o rivela la delusione o la speranza di un tentativo non riuscito.

Il sole ha ridato quel " mi arrendo " consapevole ad un'uggia, almeno per oggi, senza remissioni; riprende a piovere sciampo improvviso sulle tue mani ancora a scorrere tra i capelli; innesti la prima e lentamente riparti ...

ancora una volta è ora di tornarsene a casa.