… figli della lupa … - di Francesco Briganti

15.03.2016 10:03

La capitale di un paese è il fiore all’occhiello di una nazione. Quando poi fosse una città che affonda le sue fondamenta nella notte dei tempi e nella storia del mondo allora essa sarebbe, unanimamente riconosciuta, ROMA. Per fiore all’occhiello si intende qualcosa di sopraffino, qualcosa da mostrare, qualcosa di cui andare orgogliosi; in un solo concetto il meglio del meglio che un paese, volendo offrirsi come meta turistica, come centro di aggregazione e come esempio, dà come immagine di sé.

Chi avesse mai passeggiato per molte delle strade romane avrebbe avuto modo di rendersi conto tangibilmente di quanto poco si ami l’Italia e ciò che essa mostra a chi si muova per quelle vie è molto spesso oggetto e soggetto di intrinseca riprovazione e di squallida manifestazione della incapacità dei politici locali degni succedanei, quanto non protagonisti in prima persona, della schifezza conclamata della nostra classe politica.

Un altro dei guai maggiori di Roma è l’essere diventata il punto di raccolta di ogni manifestazione, pro o contro, chiunque si trovi a governare; cosa questa che aggrava in maniera sistematica tutti i problemi dei romani, i quali, comunque, poco fanno per ribaltare quel coacervo di motivazioni che rendono la città sempre più invivibile lungo una discesa verso quel fallimento sociale e finanziario figlio, malato terminale, degli ultimi tre o quattro decenni.

L’abbandono di alcuni luoghi storici, il dissesto delle strade, i cumuli di spazzatura, un’invasione crescente di topi e zoccole e tra questi/e quella purulenta di una classe politica attesa solo ai propri materiali interessi, fanno della nostra capitale la quintessenza della situazione italiana; per cui ROMA da caput mundi è diventata, urbi et orbi, l’icona del crucciato e rammaricato :

“ Ahi serva Italia, nave sanza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincia, ma bordello! “.

In questo quadro generale spiccano due purulenti sfoghi acneici; le prossime elezioni amministrative il primo. Dalla confusione generale in cui versa la politica amministrativa capitolina emergono a solutori dei problemi personaggi di varia e disapprovata qualità: su tutti quel Bertolaso più famoso per i massaggi richiesti e ricevuti da signore compiacenti in quel di luoghi appositi che per le distruzioni, fattive ed economiche, in sede di protezione civile; quel Giachetti, tipico esponente del nulla pdino e pedissequo seguace del caudillo gigliato e quella avvocata, per dirlo alla Boldrini, Raggi, apprezzata da Berlusconi e vecchia di esperienze nello studio del grande Previti.

Fatta eccezione per Bertolaso, il quale sa come muoversi nel inferno degli intrallazzi e delle scorribande affaristiche, è impensabile sperare che gli altri due, l’uno figura macchietta messa a correre per perdere con male intesa dignità e l’altra destinata a vincere per raggiunto schifo degli elettori per chiunque altro, possano riuscire a sanare una situazione fallimentare come quella romana. Giachetti avrebbe contro parte del suo stesso partito e la Raggi avrebbe a proprio svantaggio, per ora e solo per ora, la propria giovinezza, la inutile esperienza sin qui fatta, l’universo mondo dei raggiri e delle imboscate tipiche del mondo politico in genere. Dunque, il destino della “capitol City” italiana sembra senza uscite possibili.

Come ciliegina sulla torta, seconda e più infetta evidenza, ci sono dieci milioni di euro. Soldi della collettività. Soldi, dunque, anche miei e vostri: soldi nostri! ed un comitato promotore; quello per i giochi olimpici del 2024; quello che dovrà trovare il modo di impiegare quei dieci milioni avendo otto anni per spenderli: il come, il dove, il quando, alla completa discrezione del comitato.

In realtà non è affatto sicuro che la capitale possa ospitare i giochi; troppe sono le circostanze ed i pareri, nazionali ed internazionali, che dovranno trovarsi concordi a stabilirlo; ma ciò nonostante il governo, questo governo, stanzia quella imponente somma per metterla a disposizione di una speranza ben sapendo, aggiungo io, quale ne sarà il destino se è vero come è vero che nella commissione referendaria destinata a stabilire l’ammissibilità o meno del quesito che chiederà ai romani se vogliono o meno le olimpiadi c’è un certo docente dell’università di Tor Vergata. Persona degnissima, per carità!, ma dovendosi costruire proprio a Tor Vergata le strutture olimpiche, secondo voi, quel referendum vedrà mai l’alba di una attuazione?.

La Svezia ha rinunciato a correre per le olimpiadi in favore della costruzione di case popolari; anche l’Italia ha rinunciato …

ma ad ogni certezza di etica e di morale!.