Forone, il borgo … - di Francesco Briganti

28.09.2014 14:23

Ho dormito stanotte. La tisana che una mia cara amica mi ha suggerito mi ha regalato otto ore di sonno piene, sazie, soddisfacenti. Ricetta semplice, ma efficace: melissa, passiflora, camomilla; niente di chimico, nulla di asservente, tutto naturale. Un sonno quieto, senza sommovimenti mnemonici, senza sbalzi improvvisi, riposante e riposato.
Ho aperto gli occhi sul sole nascente; basso, dietro la collina, ha colpito le mie palpebre chiuse quasi stupito io non fossi già lì a chiederne l’arrivo. Il mio amore dormiva al mio fianco come ogni domenica le succede; russava leggermente ed i suoi occhi mostravano quel movimento involontario dei sogni. Seguiva qualche sua vicenda onirica o forse ricordava le discussioni serali, le vicende di qualche suo alunno, gli scazzi contro un governo che tratta gli insegnanti come spazzatura maleodorante e non come quegli scultori cui è demandato il forgiare un’opera d’arte.
Sono uscito che l’aria era fresca, il cielo era terso ed il silenzio del borgo nel suo risveglio domenicale rendeva il sospiro pacioso della quiete meritata e legittima di chi ha combattuto per giorni ed attende ad una pace interiore doverosa oltre che naturale soldo ad una vita quotidiana di combattuta esistenza.
Auto parcheggiate, campi verdi sfolgoranti di luce riflessa, cavalli al passo a brucare l’erba rorida del mattino e gruppi di colombe ad attendere, sui fili tra un lampione ed un altro, quel calore solare che ne avrebbe riscaldato le ali; alto nel cielo un falco mattiniero a volare in circolo in cerca di storni audaci o di qualche topo campagnolo a sgattaiolare tra un ciuffo d’erba ed un ritrovo di canne a flettersi nella brezza mattutina.
Qualche centinaio di metri ed ecco apparire il bar della Tiziana. L’Agricola è chiusa e non ci sono camion in attesa eppure i soliti avventori ci ritroviamo, come ogni mattina, al rito quotidiano ed amato del cappuccino e del cornetto, splendidi gli uni e gli altri, per non perdere l’occasione del motto salace, della battuta di spirito, del pettegolezzo, vero o finto comunque maligno ma non cattivo, verso chi in quel momento è assente ben sapendo che domani, negativi all’appello, verrà il nostro turno a passare da soggetti ad oggetti.
Le case basse e toscanamente colorate si susseguono sulla via del ritorno a far compagnia silente o cameratesca e assonnata al proferire quei buongiorno inizio di una estemporanea conversazione ora con l’amica in vestaglia, ora con il vicino al passeggio con cane al guinzaglio ora con il lavoratore indefesso che non conosce differenza tra feriale e festivo e per bisogno e per professione e per semplice e abitudinaria consuetudine personale.
Il respiro segue al respiro ed il passo il passo; qualche lumaca striscia incauta sulla strada verso quell’erba salvifica dell’altro lato; gatti, chi sa perché inesorabilmente neri, attraversano il cammino ed i cani dietro i loro cancelli si dannano l’anima nel vederli passare, sfrontati e strafottenti, come padroni del mondo incuranti del suo girare da ere lungo un cammino orbitale tra astri distratti a tutt’altre faccende affaccendati.
Solo qualche chilometro oltre l’orizzonte stradale, in su e in giù via dei Fabbri il mondo convulso e paranoico della vita cittadina e della frenesia che non conosce riposo.
Lo spazio ed il tempo quali unità di misura strettamente legate tra loro. L’impossibile coscienza che non esiste visione contemporanea delle cose. La luce impiega otto minuti per giungerci dal sole e, dunque, guardarne i raggi significa sporgersi nel passato mentre spendersi verso un orizzonte, che sia vicino o lontano poco importa, rende l’idea di uno sguardo nel futuro giacché, per quanto breve sia il cammino, quando lo avessimo raggiunto saranno passate frazioni di attimi e quindi quell’orizzonte sarà già avanti nel tempo; dunque, noi, nessuno di noi, ha una percezione esatta e contemporanea del proprio presente che, quando considerato è già un passato diventato allo stesso tempo futuro.
A pensarci si rischia di perdere ogni lume di una ragione coerente e figlia di causa ed effetto e si riesce, per quanto con sforzi sovrumani, a capire il perché di affermazioni che altrimenti non avrebbero alcun motivo di esistenza.
Al cancello di casa e proprio nel mentre i raggi solari spingevano a che togliessi il maglione, antesignano di un autunno ancora caritatevole, perso nel profumo dei campi e nella melodia canora di passeri e tortore, a farsi spazio nel mio filosofeggiare da pensatore fantasioso e inutile al mondo la, perdonatemi la cattiveria, stronzata domenicale del bamboccione fantaccino: “ … i poteri forti vogliono togliermi di mezzo … “.
Un verme di quelli viscidi e schifosi strisciava ai miei piedi cercando, il temerario, di non farsi notare mentre sbavando puntava una meta lontana. Io in quel momento ero il potere forte che avrebbe potuto distruggerlo; io ero il deus ex machina padrone del suo destino; io ero la sua nemesi maligna a decretarne la vita o la morte: ho alzato il piede in preda ad una furia cieca ed improvvisamente assassina; poi, l’ho scavalcato e sono passato oltre, non senza pensare …

… vai potere forte, VAI !. Per una volta almeno fai la cosa giusta!.