Fotogrammi … - di Francesco Briganti

16.08.2013 16:44

Ho una foto davanti a me. Un tizio con una bandana in testa, una donna seminuda sulle ginocchia, un’altra a seno scoperto che gli si strofina sulle spalle al di sotto di un cranio tirato e rappezzato ad imitare una maglia lisa malamente curata. Intorno una pletora di personaggi vari e pin up più o meno famose; attricette ed attorucoli, comunque comparse della loro stessa vita, a rendere omaggiante presenza; servi ideologici, lecchini e proni, ad ossequiare un polipo viscido e nauseante, troppo miserabile per rendersi conto della falsità del tutto: e mentre una nipote accarezza lascivamente uno zio, sullo sfondo un finto vulcano finge una falsa eruzione!. Ho una foto davanti a me. Un professore ed una professoressa che parlano ad un pubblico ben disposto ad ascoltarli e speranzoso di ascoltare quelle parole magiche che aiuteranno ognuno e tutti a risollevarsi. Lacrime copiose scendono commosse dagli occhi della donna; soffre!, si vede, traspare dal suo non riuscire a parlare, dal suo singhiozzare sommesso, dal suo cedere la parola all’uomo che le siede accanto il quale santifica, giustificandone le decisioni: impopolari, discriminanti e diseguali che tra una lacrima e l’altra sta firmando. Lacrime di coccodrillo precorritrici di lacrime e sangue che un popolo dissanguato non ha mai smesso di versare. Ho una foto davanti a me. E’ un romagnolo; è seduto ad un tavolo di un bar o di una trattoria o di un qualsiasi posto al mondo; sembra riflettere, sembra pensare ai mali del mondo, forse sta solo chiedendosi quand’è è che ha cominciato a rinnegare ognuna delle sue idee, il suo ideale, il suo credere nel sacrosanto diritto all’uguaglianza, alla rettitudine morale, il suo odio per i compromessi, gli insegnamenti attinti in quella scuola e da quei professori che avevano fatto la storia del suo paese, combattendo tra i monti e contro l’ingiustizia, la dittatura e l’invasore straniero: “ … quand’è che ho smesso di essere comunista finendo per non essere nemmeno più di sinistra? …” ; è questa la domanda inespressa e senza risposta che non riesce a scacciare dai propri pensieri … Ho una foto davanti a me. E’ ripresa una testa di bronzo, un mento pronunciato, un viso volitivo e deciso; al di sotto di quel mento si vede distintamente una camicia di un bronzo più scuro, molto più scuro, quasi nero … sul taschino si legge una scritta: “ … se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi! “. La storia racconta che fu accontentato sia nella prima parte che nella seconda; ma tra l’una e l’altra cosa furono leggi e furono deportazioni; e furono esili e furono assassini e poi fu morte e distruzione per ogni contrada. Oggi i suoi nostalgici sono pochi ed alcuni di questi abitano “ CASA POUND” mentre qualcuno afferma a gran voce che anche costoro SONO BEN ACCETTI …, ma non dubitate perché quei pochi stanno crescendo, non nel numero che in questo paese di debosciati è sempre stato alto, ma nella consapevolezza di potersi dichiarare perché ci sarà sempre più spesso chi darà loro una terra d’approdo … Ho una foto davanti a me. Una foto di per sé tragica e commovente: un istante fissato nell’attimo in cui una vita cominciava a spegnersi mentre attorno a quella vita la disperazione, il dolore, le rabbia cresceva di secondo in secondo al punto che ognuno di questi sentimenti si spandeva, allargandosi a macchia d’olio, a coloro che imploravano e pregavano affinché resistesse e non se ne andasse e poi a quelli contigui, ed a quelli a questi più prossimi e poi oltre il parapetto del palco, al di là delle transenne e , aleggiando sulla paura crescente degli astanti, fila dopo fila, in ognuno di quelli che, accalcati in un insieme di soggetti, consapevoli e coscienti di sé, credevano in quella vita e nelle sue idee orgogliosamente professate: l’ultima speranza per un mondo diverso si arrende alla fatica ed allo stress che lo stanno uccidendo!. Enrico Berlinguer se ne muore … Ho una foto davanti a me. Nel sole d’agosto una fila di bagnanti sorregge e spinge vero una riva delle persone distrutte dal caldo e dal sole: sono i sopravvissuti di un viaggio all’inferno che aveva come meta una terra promessa . Che poi quell’inferno e quella terra promessa coincidano è solo una caratteristica italiana; è solo IL FRUTTO della disgrazia di credere, anche da lontano, ad un verità mediatica falsa e rappresentata nel mondo da network prezzolati e servi di un padrone da milleeunanotte che come tutti i vampiri vive di notte e nasconde il proprio disfacimento di giorno sotto quintali di trucco ed all’ombra di milioni di schiavizzati mentali drogati da un sogno a cui nemmeno il loro padrone ha mai creduto … Ho una foto davanti a me. E’ quella di un ragazzo con i capelli lunghi; ha i pantaloni svasati alle caviglie e tiene sotto braccia una ragazza in minigonna, i capelli lunghi ed una fascia tra i capelli. Sono in mezzo a tanti altri che come loro, sembrano in divisa tanto sono simili tra loro. Hanno gli occhi brillanti, il pugno chiuso alzato e le bocche aperte a lanciare al cielo un grido che riverbera la scritta dello strillone alle loro spalle: “ … ce n’èst que un debut …, continuons le combat …”. Marciano compatti, contro l’ingiustizia, lo stato affamatore, il capitalismo e la borghesia imperante; vanno incontro al sole dell’avvenire ed a quel mondo che cambieranno … Ho una foto davanti a me. E’ un paesaggio di macerie. Rovine e rovine una dopo l’altra, una sopra l’altra . sono tribunali bombardati, scuole distrutte, ospedali fatiscenti, fabbriche chiuse, ministeri devastati. La lunga via si snoda e su di essa la fila dei disoccupati, dei precari, dei tremebondi che ancora un lavoro ce l’hanno, assistono bloccati nella loro mortificazione al passaggio del corteo di auto blu dei politici, a quello dei fanatici e degli oppositori conniventi; a quello dei falsi profeti e dei rivoluzionari in camper, in bici, in treno … a parole!. E’ la rappresentazione del “ carnevale italiano” che, unico al mondo, si svolge ogni giorno da sempre e per sempre … Ho una foto davanti a me. E’ un cancello aperto su di un grande prato verde cosparso di ologrammi di lapidi funerarie. Sembrano fatte in serie per quanto sono simili tra loro. Ognuna di esse ha una foto ricordo, ognuna di essa ha davanti una candela, tutte hanno la stessa desolata, sconsolata, delusa scritta; cambia il tempo, ma il verbo coniugato e lo stesso: “qui giace” o “qui giacerà”. Sullo sfondo, poco lontano dalle lapidi una collinetta informe ed opaca; a guardarla bene se ne intravedono i colori e se ne capisce la composizione: sono eskimo, pantaloni svasati, minigonne, sciarpe e striscioni, tanti striscioni che si perdono nel rosso delle sciarpe e delle bandiere che, lacere, consunte e pregne delle lacrime dei morti e dei morituri, sono state lì abbandonate … A FUTURA MEMORIA!.