" Fotogrammi ” - di Francesco Briganti

20.03.2016 10:48

Un metro e venti per due e cinquanta. Un balcone, con l’illusione immobiliare di essere una terrazza, al quarto piano di un condominio, fac-simile artificiale di un alveare; perso come tanti altri, tra balconi e condomini: tutti intorno, tutti uguali, tutti anonimi.
Dodici metri più sotto una strada, da est ad ovest o da nord a sud inutile a dirsi, ingombra di auto parcheggiate, ridondante di suoni e rumori, per una parte fortunata illuminata da un sole insufficientemente alto per vincere una guerra persa col cemento dell’umana costruzione.

Soffia un vento leggero. La prua scivola veloce frangendo le onde che schiumano una distesa cobalto, superficie di chilometri d’acqua. Riverbera il sole tra scintillii festanti di luce, fresco di spruzzi calidi a salificare superfici di legno levigato e pregno di colore e profumo.
Trascina, dietro di se, lunghissimo un filo di nailon: arma ignorata più che dimentica di un’improvvisa guerra di specie; illusione di preda per ignare, nuotanti, vittime sacrificali: si dimena nel vortice della scia un’argentea esca specchietto di speranze e d’inganno.

Il colore dominante: un verde infinito nell’estensione e nelle sfumature. Giù, in basso, dove forte è l’odore della natura che scompone le sue parti per riciclarle nella vita è cupo di ombra e sente dell’umido mai asciugato dal sole. Striscia, saltella, brulica: senza un domani preciso. Cangiante, sempre più, man mano che sale lungo i tronchi. Si rischiara allargandosi sui rami protesi, splende sulle foglie più esposte, esplode nelle cime scosse dal vento, riflette una gioia di luce. Vola, salta da ramo a ramo, si arrampica e si lascia cadere. Fluisce all’orizzonte.

E’ appoggiato alla ringhiera, scuro in volto guarda irato verso il mondo che scorre quattro piani più sotto, ignora, ostentatamente, la donna all’estremità opposta della stessa ringhiera. Di sottecchi lei, forse più debole e forse più innamorata, forse solo più delusa, lo sbircia: cerca un motivo che infranga il silenzio. Ennesimo litigio: lui, pentito più che insoddisfatto rimpiange ciò che poteva essere e non è stato; lei, stanca più che irata, ha rinunciato a capire il rifiuto sempre più palese di chi la pregava di crederci: “…perché il domani siamo noi…”: alba di un giorno di là da venire.

La lenza solletica la pelle dell’indice. Un po’ l’andare delle onde un po’ il peso del piombo segna una rossa linea callosa e pur sensibile al tocco appena accennato del pesce: scattano all’erta i sensi. Pronti allo strappo deciso, pronti a tirar su la vittima di turno.
L’ha vista! Sullo sfondo controluce dell’acqua che diventa cielo si dimena sinuosa nel candore della scia: solletica il suo spirito di caccia, sveglia un languore nel suo stomaco. Si lancia, fende la massa liquida con i sensi pronti a scattare, a chiudersi su di un altro pasto.

La lingua saetta tra le fauci socchiuse, mimetizzato tra le foglie guarda in su tra le fronde: sente più che vedere il movimento tra le foglie, ne percepisce le vibrazioni ne sente l’odore, inarca la schiena e striscia all’insù lungo la corteccia dell’albero. Cuccioli…, un buon pasto.
Appesa, la coda ed il braccio, al ramo più alto si guarda intorno sospettosa, cinge al petto una creatura troppo piccola per reggersi da sola e masticando, foglie e frutta, salta più in là. Il vento si insinua tra lei ed il piccolo: freme, avverte il pericolo anche se ancora non lo vede.

Il sole sparisce lentamente oltre il tetto di fronte, l’ombra della sera prende poco a poco il sopravvento sul chiarore del giorno, l’aria rinfresca: una leggera brezza che sa di mare lontano rabbrividisce le due schiene poco distanti tra loro. Si cercano, si trovano.
“ Ti amo “ le dice
“ Ti amo “ risponde
Si guardano e ciascuno si rivede negli occhi dell’altro alla fine di qualcosa.

Rinforza il vento dai monti contrastando la marea che sale. La barca continua la sua corsa fendendo l’acqua ogni secondo più scura: il mare batte ora di fianco, s’allontana lentamente la riva: la lenza sempre più tesa scarroccia al largo di traverso alla scia.
Un sincronismo perfetto: si chiude una bocca su di un amo nascosto mentre dall’alto arriva uno strappo deciso. La punta dell’amo squarcia il palato, il filo di nailon lacera il dito. Una striscia di sangue sbiadisce nell’acqua e, più su, un’altra arrossa la pelle abbronzata.

Stormiscono le foglie confondendo i rumori, sbiadiscono i movimenti nel crogiuolo di verde: si fronteggiano, immobili, tesi. Riflettono? Fame, paura, dubbio. Scattano, in avanti, di lato. Affondano, aghi mortali, i denti nella piccola schiena. Cadono, rimbalzando tra i rami.
Tende le braccia cercando una presa, avviluppa le spire attorno alle prede. Trascinano foglie e corteccia e rami, giovani, secchi. Il peso congiunto frantuma il cammino e aumenta metro meno metro: il tonfo finale assimila gli ultimi respiri. Ricopre, a pioggia, il sottobosco profondo.

E’ vuoto il balcone nel buio della sera. Filtra dalle ante, calda, bianca, una luce mista all’azzurro sbiadito di uno schermo virtualmente reale. Lei sfaccenda in cucina per una cena uguale e diversa, lui e il divano subiscono una finestra sul mondo.
Il sole, qui tramontato, sorge altrove su altre realtà: uguali, simili, compatibili. Ad un capo ed all’altro del tavolo mangiano e si guardano, tacciono. Disperati: nel non sapere che dirsi; timorosi, di farsi del male. Si sorridono: ciascuno perso e lontano, ormai, anni luce.

A babordo e a tribordo l’orizzonte confonde i dettagli. Il sole s’è spento nel nero della sera in sprazzi di luce che illuminano la prua bassa sull’acqua. Ronza il motore a basso regime, s’allarga, azzurra, una macchia di olio. La nafta, dolciastra, inquina il sapore del mare.
Succhia la ferita, dolce di sangue, aspra di sale. Si dimena il pesce ingarbugliando la lenza. Immerge la mano nell’acqua assaporando il bruciore. Asciuga all’aria le branchie negli ultimi spasimi. Sparisce la barca, scura nel nero della sera inoltrata.

Giacciono: una testa schiacciata, un collo spezzato, una schiena avvelenata. Si confondono: il colore del pelo e le strisce della pelle, tra le foglie, con le foglie. Si mischiano i selvatici odori degli animali con il sentore dolciastro del disfacimento continuo e perenne.
Il silenzio della sera si frammenta di soffi e scricchiolii e sordi brontolii. La vita si avvicina, annusa, addenta, succhia, assapora. Si allontana, ritorna, scaccia, si arrende, si associa, si avvicenda. Natura in corso, prego, non disturbare.

Nulla si crea e nulla si distrugge: tutto si trasforma, ma e soprattutto,

“ tutto scorre, inesorabilmente! “