... giusti tra le nazioni ... - di Francesco Briganti

31.07.2014 06:43

Sono le quattro e mezza di una notte d'estate; fuori, il nero della notte piena è grigio e cupo di un luglio anomalo ed invernale; la temperatura esterna si aggira intorno ai livelli critici di un ottobre inoltrato e stanco dell'afa appena passata. Niente più, a questo mondo, gira in regola e normalmente come ai bei, cari, melanconici, vecchi tempi. In piedi sulla veranda guardo quel pezzetto di giardino a separarmi dal resto del mondo e spingo il mio sguardo lontano fuori, dal essere e dai luoghi di questo mondo assurdo.
Lo lascio vagare per i miei campi di mais e di girasole; gli consento di spingersi avido di riposo e tranquillità a correre, finalmente libero, su quelle spiagge della Versilia poco lontana; lo inseguo un tantino affannato su per i pendii a crescere ripidi dell'Appennino e delle Alpi; sorvolo teso e stranamente ansioso, con lui le cime più alte e, nel gelo della stratosfera, al suo confine, permetto che viaggi nello spazio e nel tempo, sino ad un inverno stremato dal suo stesso freddo, deluso della propria impotente gelata, stranito dal fumo acre e maleodorante che sale dai camini di Auschwitz, Mauthausen, Treblinka.
Come una particella quantica, lo sguardo ed il pensiero fusi in tutt'uno, sono contemporaneamente in Polonia, In Belgio, in Norvegia ed in quella Germania, ognuna e tutte, cimiteri a cielo aperto a testimoniare dell'eccidio di un popolo inerme e rassegnato.
Sono a Belsen, a Breitenau, a Berg, a Belzec, a Bardufoss, a Breendonk, a Arbeitsdorf, a Buchenwald.
Sono fisicamente lì, uno, trino e multiplo ai confini di ogni filo spinato, fuori ad ogni parete di legno, attaccato al muro di ogni luogo di tortura e morte ed ascolto; ascolto e tremo, ascolto e piango, ascolto e muoio: di loro, per loro, con loro.
Passano davanti a me, in fila come per recarsi ad un asilo tanto sconosciuto quanto inesorabile e temuto, emaciati, distrutti nel corpo e nello spirito, strascicando i piedi nella neve, intirizziti come ignudi fossero pur malamente vestiti di stracci sporchi e lisi estranei alla dignità di abiti, schiere di bambini, folle di mamme disperate e scarnificate dal dolore di una morte imminente che più non le riguarda se non per quello che accadrà ai loro figli, di padri inebetiti dalla certezza che l'essersi lasciati trattare come bestie, senza combattere fino all'ultimo respiro, li ha resi, e già da tempo, dei cadaveri a respirare in attesa di una bestiale sepoltura.
Sono, siamo, molti, tanti, troppi: milioni, miliardi!.
Sono, siamo, tutti ed ognuno, allora come oggi, anche quelli che come me scrivono, cianciano, tifano, sentenziano, una moltitudine di persone che lentamente svanisce, si dissolve, scompare lasciando quei luoghi di terrore per riapparire in uniforme e stellette, armata, baldanzosa e fiera su di una distesa desertica ed assolata, stavolta al di qua ed al di là, di macerie di ospedali, di case sventrate dai missili, di scuole bersaglio di bombe tanto intelligenti quanto assassine.
Sono, siamo, tutti ed ognuno, allora come oggi, fantasmi del passato e stupidi stupiti del presente.
Sono e siamo, tutti ed ognuno, allora come oggi, sulle ali di aerei veloci ed assordanti, nel ventre di cingolati puzzolenti di carburante ed olio minerale, dietro fucili, pistole, bazooka come protagonisti, macellai e carnefici di altri bimbi, altre madri, altri padri anche essi, disperati e inebetiti, innocenti e inermi, vittime e martiri, contemporaneamente carnefici, comunque consci della certezza che una ragione, quale che sia, comunque sia, dovunque sia, non dovrebbe ammettere, giustificare, accettare, tifare, affinché e che, una vita, giovane o vecchia, araba o israeliana, bianca o nera, a torto o a ragione, comunque una vita, venga falcidiata, mortificata, martoriata e recisa tanto da un fuoco a nascondere quanto da un pezzo di metallo impazzito a lacerare carni, pensieri ed anime.
Risucchiato in lampo temporale da un tuono cupo, profondo e lontano ritorno alla quiete notturna del mio giardino odoroso ed in via di giorno a divenire; il cane uggiola e chiede il suo pezzo di pane; gli uccelli aprono cinguettii ignari dello schifo di un mondo assassino in un mondo natura schifato, disinteressato e mai innocente di quanto i suoi abitanti umani fanno per distruggersi a vicenda.
Mi chiedo, mentre un sole faticosamente si fa largo da quell'est rosso di sangue, qual'è quel dio esistente, ebreo, mussulmano o padre di quel Cristo morto in croce che possa permettere, indifferente, la testa sfondata di un bimbo, le lacrime disperate di una madre, la coscienza, assassina ed assassinata, di un padre.

Ore 5,30 di un giovedì di un luglio inverosimile ... :
" ... Uomo! ... perché? ... perché ...?!? ".