I sogni muoiono all’alba - di Francesco Briganti

25.09.2014 06:17

Chiuse gli occhi e poggiò la schiena e la testa alla poltrona.
Alla sua sinistra una sigaretta finiva di consumarsi, inutilmente, sul bordo di un posacenere colmo oltre ogni misura: l’odore del fumo si mischiava acre a quello della resina che penetrava dall’esterno ed il bosco, tutto intorno alla capanna, sembrava protestasse la sua verginità tentando di ripulire un ambiente ormai impregnato di nicotina e catrame.
Il pavimento, d’un legno consunto dal tempo, cosparso di cadaveri di fogli scarabocchiati, scritti a metà, appallottolati, calpestati, vilipesi da rabbie improvvise, era testimone di una impotente voglia di esprimersi.
Guardò verso la finestra aperta sulle fronde a bandiera nel vento: l’ennesimo scatto di rabbia spedì fogli e penna a raggiungere la folta compagnia ai piedi del camino.
La giacca, sulla spalliera della sedia, pendeva da un lato appesantita dal cellulare. La sfiorò nella tentazione di comporre un numero che sapeva fisso ormai nella memoria; si ritrasse, convinto dell’inutilità del gesto: non avrebbe avuto risposta …

“… i sogni muoiono all’alba …”

A nord e a sud la spiaggia, ininterrotta, si perdeva in lontananza inerpicandosi quasi lasciva, ad est, in un pendio crescente di pini e di pioppi, così a formare una macchia mediterranea: odorosa e fitta nel suo sottobosco. Profumi, odori, colori, fusi, insieme, a perdersi, lentamente, cadenzati m avvolgenti, sereni verso un matrimonio d’azzurro.
Il bagnasciuga faceva da argine ad un mare poco profondo; un verdazzurro acquamarina e cristallino nel quale, a qualche centinaio di metri dalla riva, un pezzo di terra troppo piccolo per assurgere al rango di isolotto, spezzava la linea dell’orizzonte nascondendo, in quel autunno imminente, un sole deciso a spegnersi alle sue spalle.
A mezza costa tra il mare ed il pendio tronchi arsi dal sole e da mille falò notturni fungevano da panchina per chi volesse godere dei colori di ogni tramonto: gabbiani stridenti, stanchi di facili menù da discariche, si tuffavano in cerca di pesci, anche per loro, sempre più rari.
Su, dove la spiaggia lasciava spazio alla pineta, una terrazza introduceva ad un locale, pugno di cemento nello stomaco della natura, ad eterna memoria dell’esistenza dell’uomo.
All’interno, tra gli altri, loro.
Si erano trovati, dopo mille consci ed inconsci rinvii e finte e malcelate ignoranze, ad un tavolo di ristorante… quasi senza volerlo.

“ Cosa fai domani “ le aveva chiesto per telefono
“ Lavoro…, come al solito….”
“ Anche io ho molti impegni domani, ma… “ l’aveva interrotta spinto da coraggio improvviso, “… ti posso invitare a pranzo? Facciamo due chiacchiere…, prima di riprendere il lavoro…..”
Lei, titubante nel rispondere, gli aveva dato la sensazione di non voler offrire spazi ad una maggiore confidenza nei loro rapporti, ma poi quasi d’impulso e quasi fosse una liberazione, aveva accettato:
“ Va bene, raggiungimi a … ho un appuntamento poco dopo pranzo però, quindi le chiacchiere saranno giusto un paio….” Parole disperanti pronunciate con un calore che apriva, però, infiniti orizzonti possibili.
“ Mi troverai ad aspettarti... quando arrivi…, a domani….”
Interrotta la comunicazione era rimasto a guardare il telefono per qualche minuto senza sapere se ridere o piangere dalla gioia, “ domani.. domani…” continuava a ripetersi “ domani…” Il resto della giornata passò quasi senza che se ne rendesse conto.
Il ristorante apriva la sua terrazza sul mare ed offriva, nella splendida giornata di sole di fine settembre, un’atmosfera di tranquilla routine.
Entrambi, quasi a seguito di un tacito accordo, erano arrivati ben prima dell’ora prestabilita, ciascuno adducendo una giustificazione palesemente estemporanea ed imbarazzata.
Davanti ad un aperitivo colorato, pian piano, sciogliendo quel reciproco riserbo, avevano cominciato a raccontare e a raccontarsi, ben presto dimentichi persino del cameriere che, sorridente, eseguiva distratte ordinazioni.
Più volte si sfiorarono le mani: mentre lui le versava del vino o lei gli passava il sale e tutte le volte gli occhi s’erano incontrati in un guardarsi reciproco che, mirabile visu, aveva fatto arrossire entrambi fino a farli scoppiare in una risata comune.
“ E’ bello sentirti ridere” le disse guardandola negli occhi “ quasi quanto guardarti…”
Mano nella mano si alzarono sazi del poco che avevano mangiato e del tanto della reciproca compagnia.
L’orologio girava, ignorato, le sue lancette: continuarono a parlare seduti sulla terrazza dove, persi nel salmastro del mare, erano dimentichi di ogni altra esistenza che non fosse il loro ascoltarsi e guardarsi. Ebri, delle proprie voci più che delle parole.
Scesero sulla spiaggia in una passeggiata che li vedeva ora vicini, sfiorarsi delicatamente e mai per caso, ora lontani mentre si ritraevano all’onda e pur tesi a cercarsi subito dopo.
Le insegnò a far rimbalzare i sassi sull’acqua; lei, allieva attenta di una miglior causa, gli sorrideva ad ogni tentativo riuscito.
I lunghi capelli al vento, gli parlava della sua poca dimestichezza con il mare offrendosi oggetto alla sua delicata irrisione, quasi contenta che la prendesse un po’ in giro.

Parlarono per ore; gabbiani stridevano in cielo a salutare e rincorrere veloci pesci sotto la spuma delle onde mentre occhi negli occhi fiumi di parole sgorgavano senza mai accennare a quello che in realtà entrambi desideravano dirsi.
Le mani nelle mani unico segno di nuovi coscienti sentire, gli sguardi malinconici del dopo nell’essere allegri dell’ora.
Spalla a spalla sedettero al tramonto ormai imminente, entrambi in un silenzio crescente all’aumentare del buio.
Si incamminarono sulla riva del mare incuranti dello sciabordio delle onde che impregnava loro d’acqua e di rena le scarpe …....
Vicini, tenendosi per mano, passo dopo passo, proseguirono una via fatta di silenzi e pensieri comuni già preoccupati e desiderosi di sequenze ancora senza principio ......

Nel parcheggio le auto attendevano, solitarie e testimoni, una promessa di pioggia da nuvole improvvise .
Accarezzandole il viso ed i capelli poggiò teneramente le labbra sulle sue:
“ Hai un buon sapore di vaniglia “ le disse sorridendole “ fai attenzione nel guidare… ti prego”
“ Anche tu…” gli rispose arrossendo.
“ Buon compleanno Principessa…” le sussurrò salendo in macchina.

Le due automobili si allontanarono in direzioni opposte ciascuna sognando una strada in comune.