il club delle sei … - di Francesco Briganti

19.06.2015 08:11

Lontano ad est, appena visibile, un occhio di sole a dire: “ … tranquilli, ci sono, è solo foschia che tra poco vi sciolgo …”. Tra due giorni sarà estate, ma qui, sotto il mio cielo, la sera ancora rinfresca e, di notte, a volte addirittura fa freddo.

La resede della Tiziana, fuori da quel bar, moderna vecchia sezione del pci per quanto Tiziana professi che un bar non fa politica, le parole inseguono le parole a riempire chiacchiere sparse il cui uguale tenore è quello della protesta, delle difficoltà, quotidiane, di una vita sempre più balorda spersa tra tasi, tarsi, irpef, ilor, spazzatura e tutte quegli altri balzelli che tutti onorano convinti che foraggiare questo stato infame sia, comunque, un loro dovere anche se poi in cambio non avranno indietro nemmeno la centesima parte in servizi o soddisfazioni qualsiasi a dire: “ … mi è costato, ma e come tutti (chi?!) ho fatto grande il mio paese!”.

C’è l’infermiera che monta il proprio turno alle sette in ospedale: sa che l’aspettano sei/otto ore di frenetico andare; sono sotto organico e quindi occorre spendersi ovunque per sopperire a mancanze indegne per gente che soffre. C’è il dottore; lui apre lo studio presto la mattina, è ancora uno di quelli che, poi ad una certa ora, fa il giro dei suoi pazienti più anziani per dedicare loro un qualche minuto del suo tempo, una parola di incoraggiamento, una prescrizione mirata; odia la routine burocratica di una professione spesso mestiere da scrivano piuttosto che missione salvifica. C’è il capomastro; è diretto al cantiere ed aspetta, mattiniero più degli altri, la sua squadra; arrivano in pulmino, fanno colazione, arricchiscono la conversazione generale e sperano che l’oggi sia più leggero dello ieri; in cuor loro sanno più che bene che sarà un’altra giornata di sudore sperando che nulla la turbi di irreparabile e definitivo. C’è la segretaria; il suo orario di lavoro sarebbe dalle nove in poi, ma ha scelto di occuparsi delle pulizie dell’ufficio, arrotondare lo stipendio non dispiace a nessuno e, dunque, arriva sempre prima in modo da poter essere poi funzionale al suo compito e ci sono i suoi datori di lavoro; marito e moglie si spendono con lei a sopperire, insieme, all’impossibilità di assumere altro personale; l’azienda già soffre così, azzardare sarebbe un suicidio. Ci sono quelli come me; magari nottambuli genetici, professionisti del vario ed eventuale, che imprenditori di sé stessi, organizzano la loro giornata secondo gli appuntamenti programmati o dell’ultima ora.

E ci sono loro, i gestori del circolo/bar/ristoro/ritrovo che dalle cinque e mezzo staccano scontrini perché, per quanto costi, ritengono sia, a prescindere, un loro dovere.

E’ uno spaccato di questa società che vede l’uno per cento della popolazione detenere il quaranta per cento delle ricchezze nazionali. Dal duemila otto in poi in “questopaese”, crasi dovuta a significare una shitland inverosimile, il divario tra quelli più ricchi e quelli più poveri si è accresciuto del trenta percento. La povertà avvertita supera di poco quella reale e non ci sono più o vanno scomparendo quelle classificazioni passate che parlavano di piccola imprenditoria, quasi tutta sacrificata al dio della finanza bancaria, della media borghesia che non riconosce più sé stessa se non con gli stessi parametri, al livello più basso, che faticano già dalla terza settimana; dell’agiato burocrate statale a fare da faro per chi volesse elevarsi verso porti dalle acque più tranquille e rilassanti.

Nel club delle sei non troverete politici, né di piccolo, né di medio cabotaggio; una icona aliena sono quelli delle alte sfere. Le elezioni son passate, chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto. Adesso la loro giornata comincia, quando comincia, all’ora del marchese del Grillo. Un salto in un qualche ufficio comunale, provinciale, regionale o nazionale che fosse e poi a far finta di discutere dei massimi sistemi ed alla ricerca di quelle soluzioni che una madre, un padre di famiglia troverebbero nello spazio di una tazzina di caffè.

Arzigogolano per tutto il tempo della propria grande missione sociale, quando non addirittura umanitaria e di quando in quando degnano della loro attenzione questo o quel problema soggettivo al quale cedono la loro completa adesione se scoprono di poterne ricavare un qualche ritorno fosse pure solo di immagine quando non fosse di interesse privato o di interesse politico; ognuno strettamente legato ad una carriera che questo solo è essendo, tutti loro, nessuno escluso, dei miserabili Travet, funzionari di un sistema al cui cambiamento non hanno alcuna particolare partecipazione.

Poi, e quasi ad un segnale comune, ciascuno intraprende la propria strada. Attimi di vuoto pneumatico a riempirsi magari con quelli dei club successivi. Anche essi esponenti di un mondo atteso ad altre incombenze, accomunati, però, dalle stesse ambasce e dalle stesse stringenti esigenze le quali pervadono come foschia impalpabile le mattine di una estate oramai dichiarata e datata anche se non ancora effettiva su questa shitland una volta paese più bello del mondo.

“ … a me il solito saccottino ed un cappuccino ben caldo Tiziana! …

… e domani?; beh!, per domani … vedremo … !.”