… il maestro … - di Francesco Briganti

04.01.2015 08:35

Nell’infanzia di ciascuno di noi ha sempre assunto una valenza particolare la figura della prima maestra; colui che mutuando le veci della mamma ci accoglieva a scuola e cominciava ad instradarci sui camminamenti della vita; ai miei tempi e per quel che posso ricordare si cominciava con pagine di aste; attività questa che tendeva ad insegnare una qualche abitudine al ordine ed al rispetto degli spazi di modo che nessuna di esse si sovrapponesse all’altra. Propedeutica al vero è proprio abc di ogni altro insegnamento questa attività aveva un che di insito traslabile al più aulico concetto quale era il rispetto per l’altro da SE’.

Ogni maestro, poi e ciascuno con il proprio metodo, forgiava nel tempo a propria disposizione la crescita dei propri allievi, riuscendo, nella maggior parte dei casi, a comprenderne l’indole, a indirizzarla verso mete possibili, esaltandone le qualità e dando la stura al avvenire delle generazioni future. Stava nelle capacità di ciascuno allievo riuscire a trarne profitto, a ricavarne il maggior guadagno possibile, a fare della propria vita un qualcosa di significativo e sostanziale quale che fosse il soggettivo campo d’azione.

Ai miei tempi un maestro aveva solo pubbliche virtù e, per quanto ce ne fossero con vizi privati, la funzione prevaleva in modo esaustivo tanto che chi ne era incaricato soleva essere considerato al pari di una eccellenza da ossequiare e da trattare con il massimo rispetto. Oggi tale qualifica, prescinde da un titolo di studio o da una particolare capacità in uno qualsiasi tra i campi dello scibile umano; il titolo si assegna, spesso e volentieri, a casaccio e quasi mai viene negato a chi che sia; è stato talmente svilito che maestro diventa un allenatore di calcio, un musicista ad orecchio, un edonista improvvisato, uno scribacchino che occupi il proprio tempo a battere sui tasti di un computer. Nel paese che conta sessanta milioni di geni della politica e di commissari tecnici, in fondo, questo non sarebbe un gran male, se ognuno di quei sessanta milioni avesse contezza del fatto che, nello stesso tempo, ognuno è anche discepolo di ciascuno degli altri cinquantanovemilioninovecentononvatanovemilanovecentonovantanove maestri. Ciò non avviene mai o quasi mai giacché di solito il “sé” e quasi sempre ritenuto migliore e più importante del “altro da sé” e non c’è, se non raramente, l’onesta e semplice valutazione che permetta quel vivere civile in cui la soggettività è importante solo se capace di rapportarsi con l’intorno oggettivo.

Quindi esagerazioni tali e conseguenti per cui atteggiamenti fideistici a prescindere così come opposizioni e comportamenti contrari nonostante, e per egli uni e per gli altri, una realtà dei fatti incontrastabile. Ragione per cui a nulla vale, a volte, dare spiegazioni, a niente serve porgere argomenti, sottolineare evidenze, mostrare urbi et orbi le incongruenze che fanno di un “maestro” un puro e semplice profittatore di situazioni tanto estemporanee quand’anche fossero ripetute se tali fossero e sono solo in un ambito specifico e delimitato. Per alcuni discepoli, ciechi e sordi, questi supposti maestri sono dei scesi in terra, sono da seguire fino alla morte, metaforica o fisica che fosse dipende solo dalla singola soggettiva intelligenza, ed ogni critica, per quanto argomentata e ragionata, lede la propria acquisita autostima per interposta persona e dunque, ritenuta la stessa critica un insulto, genera turpiloquio, offesa ed intransigenza ognuna a sua volta madre di episodi crescenti in gravità sino alle peggiori conseguenze.

Se ciascuno di noi riflettesse quel tanto che basta ad una giusta valutazione di un “ascoltato”, di un “letto”, di un “visto” e non prendesse per oro colato ciò che di primo acchitto ne ricava, questa società potrebbe essere migliore; i leader da quattro soldi sarebbero molti di meno e le folle oceaniche adoranti lo sarebbero nei confronti di veri e propri san Francesco o Gino Strada e non verso un qualunque guitto da due soldi la tonnellata a fare da sorridente e sfrontato imbonitore.

Naturalmente io non faccio eccezione e vale anche per me quanto sopra scritto, ma io ritengo di saperlo e, dunque, quando la cosa mi accade son capace di rendermene conto e di fare ammenda; ritengo di poterlo affermare senza tema di smentita. Diceva mia madre, buonanima che “chi s’o’ cunosc’, nun è tant’ …!” (chi sa dei propri difetti riesce a cambiarli; traduzione più o meno alla lettera; ndr); per quanto sopra, io spero che ritorneranno i giorni in cui ….

i maestri ricominceranno con le pagine di aste!.