Il muro di gomma … - di Francesco Briganti

03.04.2014 17:46

Anni fa, ere geologiche oramai, studiavo presso l’università di Firenze; alti e bassi, vizi molti, virtù poche ed il mio solito caratteraccio: impulsivo, sfrontato, irascibile; il tutto anche ed oltre il consentito. Non ricordo più quale fosse il motivo del contendere, ma ricordo benissimo che una mattina partii lancia in resta alla volta della segreteria di medicina e chirurgia per far valere quelle che credevo fossero le mie ragioni. Ad ogni fermata del 14, il bus che dal duomo portava e porta a Careggi, la mia rabbia cresceva e con essa il fervore con il quale mi sarei espresso. Arrivato in segreteria, a quei tempi in piazza san Marco, giunto il mio turno di rapportarmi con l’addetta mi trovai di fronte un vetro smerigliato che a stento permetteva di individuare il “chi” dall’altra parte e che, per di più, aveva solo e molto in basso, radente il piano che lo sorreggeva, una apertura atta ad interloquire con quel “ chi “ di cui sopra. Risulta evidente che la rabbia sbollì in un attimo, che il fervore si perse scivolando mestamente lungo il vetro e che la burocrazia aveva individuato il modo più comodo per fottersene bellamente della rabbia, giusta o sbagliata che fosse, degli studenti a reclamare qualcosa. Istantanea fu la mia decisione di vaffanculare più o meno intellegibilmente, di girare le spalle ed andarmene con quello che non era altro che lo sdegno iniziale padre del cinismo, diventato poi col tempo, abitudine e filosofia di vita.
Ho cercato sempre di dare un senso alle cose che facevo, dicevo, scrivevo e quando mi sono reso conto che il parlare, quand’anche fosse ascoltato da molti è sentito da pochi ed interessa ad ancor meno, a parte che per lavoro, ho messo di essere di troppe parole; concordo immediatamente quando mi accorgo di star facendo una discussione che non porterà a nulla; neanche mi spendo quando quella sensazione fosse primigenia alla discussione stessa; lo stesso principio mi anima quando devo fare qualcosa e, per quanto mi piaccia scrivere, arriva un momento in cui neanche parte del mio essere mi dà più gli stimoli necessari al farlo; in special modo quando ci si rende conto, che continuare è una presunzione fine a sé stessa ed è assolutamente inutile agli altri ai quali, probabilmente interessa ancor meno leggere di quanto possa interessare a me continuare a scrivere.
Viviamo in un periodo storico, in cui la politica ha eretto tra sé e gli elettori ed ancor più tra e sé e quella parte di popolazione che neanche più vota lo stesso vetro smerigliato che io trovai quel giorno in segreteria; ha elevato a sistema lo “ strafottersi “ di qualsiasi cosa non sia la propria esclusiva esistenza ed agisce indifferentemente dal come, vengano prese, al suo di fuori, ogni e tutte le decisioni, le iniziative, i teoremi ed i corollari conseguenti: è un corpo a sé stante che si perpetua per autogenesi diventando e rimanendo completamente alieno dal resto.
Dei governi passati e dei politici passati, nel bene e nel male, si è detto tutto; Le cose negative, ma anche le mosche bianche positive, non hanno mai mutato l’atteggiamento del popolo il quale padre putativo di quella politica si è sempre lasciato scivolare lungo la pelle tutto ciò che succedeva anche se manifestando qui e lì, qualche millantata indignazione, qualche sdegno indirizzato, qualche protesta verbale urlata con foga o sacramentata sotto voce senza, però, mai che queste fossero propedeutiche ad un qualche “che” di sostanziale e risolutivo.
Del governo Renzi, dei suoi ministri, della maggioranza (quale e deche?) che lo sorregge non si possono dire che le stesse identiche mefitiche cose; e del popolo che ne sta a guardare l’azione anche; ciò detto, pur cercando di raccapezzarmi tra l’infinità di annunci del “fare”, pur cercando di individuare gli inghippi e gli accordi sottobanco dei “faremo”, pur salvaguardando la buona fede e “l’innocenza” di ognuno nel rapportarsi con ciascuno degli altri, ad ogni giorno che passa, io mi sto accorgendo che parlarne, scriverne, e farne qualcosa non ha più senso e non ne vale la pena.
Oltre ad annoiarmi, la cosa proprio non la saprei fare se non ripetendo come un “registratore scassato” cose già dette, già fatte, già scritte essendo il nostro, i nostri, governanti, politici e più di tutti il popolo, gli stessi di sempre ai quali piace molto sentire, poco ascoltare ed ancor meno reagire e fare, vero popolo?, in funzione non già di quanto io possa mai dire, fare o scrivere, ma sopra tutto in funzione di ciò che sarebbe il proprio mero e semplice interesse.
Contro i mulini a vento si può combattere, magari invano e magari anche rischiando di farsi male; ma contro i muri di gomma, per i quali ognuno di noi conta meno di zero, farlo non serve nemmeno per semplice gusto ludico del rimbalzo: e’ del tutto inutile!.
Ed io, delle cose inutili, faccio più che volentieri a meno!.
A poi … se e quando passerà la noia!.