... il signor G … - di Francesco Briganti

11.06.2015 08:46

La libertà è una scelta. Le scelte richiedono decisione e decisioni. Le decisioni costano sacrifici. I sacrifici non hanno gradiente di intensità: lo sono o non lo sono. La libertà è, però, anche un diritto ed in quanto tale dovrebbe essere una condizione automatica in ogni consesso civile; quando ciò non fosse e diventasse perciò una scelta di vita, come conseguenza si avrebbe l’assioma precedente a doversi confrontare con una società incivile nella quale, perciò, ci si rapporterebbe con diversi stadi di libertà a corrispondersi con altrettanti livelli di sacrificio.

Primo step. E’ indubbio, infatti, che conquistarsi il diritto di espressione, lunga o twittata che fosse, su di un social, in termini di sforzo costa pochissimo, non più di quanto costi salire su di un banchetto al Hyde Park londinese per lanciare anatemi, più o meno velenosi, nei confronti di tutto e di chiunque. Porta poche o nessuna conseguenza per “colui che ne usufruisse” e sembra essere l’apice di una libertà senza limiti realizzazione concreta ed evidente di una democrazia al suo massimo grado. Essa non genera, dunque, conseguenze di ritorno, ma non ne genera nemmeno nel andare a bersaglio e si rivela essere solo un servile calmiere a quella che fosse l’indignazione, la rabbia, il bisogno che l’avesse generata; dunque essa si mostra non più come un diritto naturale, ma come una gentile concessione di chi comunque se ne sbatte altamente del suo esprimersi.

Un sacrificio maggiore e a gradiente crescente, una volta fosse l’auto coscienza del primo step, richiede la libertà di adattamento a quella conoscenza e la sua metabolizzazione. Adattarsi all’idea, infatti, di essere praticamente impotenti di fronte ad una situazione che sembri immutabile costa un notevole sforzo, ma non tanto da impedire alla maggioranza delle persone di accettare quella condizione e di considerarla come sufficiente, quando non esaustiva, alla negazione del proprio spirito di rivalsa o, addirittura, a quello di ribellione. La considerazione auto assolvente sta nel “ … in fondo potrebbe andar peggio, almeno ne posso parlare!”; così ci sfoga sulla rete, nei bar, con proteste di piazza secondo timbro orario di lavoro e con espressioni estemporanee, a volte anche violente, in un senso e/o nel altro del proprio sentire e poi si ritorna al proprio ovile sazi di aver dato quella improduttiva mostra di esistenza. Tutto resta, comunque, esattamente come prima di … .

C’è, poi, la Libertà di Apparire. Questa è una condizione che richiede il sacrificio, costoso, della responsabilità e della esposizione in prima persona nei confronti di ognuno degli altri. Si comincia a mettere, quindi, in gioco sé stessi, e si associa a tutto ciò una crescente coscienza di rischio personale. L’apparire, però, è solo una forma narcisistica dell’adattamento precedente in quanto, quale che fosse la direzione presa, di pedissequo allineamento alle convenzioni esistenti, società, politica e quant'altro, o di dura alternativa alle stesse, esso non farebbe altro che giostrare seguendo criteri e regole che quelle convenzioni sorreggono e perpetuano nel loro esistere. L’apparire, questa libertà, anche essa concessione e non scelta, non arriva quasi mai al orizzonte del rischio materiale ed effettivo; essa è strettamente legata alla “libertà di Avere”, proprio a concretizzare quel rischio incentivata e promossa, e quando ci si arrivasse ci si guarda bene dal superarlo al motto non confessato di “ … l’orticello, Dio me l’ha dato, figurati se me lo perdo!”.

Il costo più alto in sacrificio si realizza nel decidere di Essere. Questa è l’unica vera libertà scelta; è figlia del conosci te stesso e della conseguente realizzazione di quella conoscenza. Con pignoleria e intransigenza si seguono i propri parametri di esistenza, nel bene e/o nel male, e funzione di questi si mette a rischio ogni cosa a cominciare dal proprio esistere e fino alle estreme conseguenze. Non si accettano più come indiscutibili le regole in vigore; la critica, nel senso filosofico intesa, è continua e fonte di progressivo impegno; l’azione prescinde dalla contiguità e dalla compartecipazione di altri; il fine non è più puramente materiale, ma può raggiungere i livelli aulici dell’eroismo. Comunque fosse, la libertà di ESSERE, quando realizzata, è la compiaciuta, ed occorre ripetersi: nel bene e nel male, e più alta forma di egocentrico manifestare il PROPRIO IO!.

Una società che mostrasse tra i propri fruitori una moltitudine di PROPRIO IO per la maggior quota parte tesi al bene comune sarebbe quel EDEN primigenio di trascendente creazione; quella che, viceversa, avesse una concentrazione al male superiore alla prima, sarebbe un paese allo sbando e dunque …

sarebbe un “questopaese”: sarebbe l’ITALIA!.