… impiccalo più in alto … - di Francesco Briganti

10.04.2015 07:06

Impugnare una pistola e sparare non è cosa facile!. L’uso di un’arma richiede innanzitutto abitudine; una pistola, poi, quale che sia, ne richiede una che non sia solo frutto di un possesso estemporaneo. E’ un’arma pesante e complicata; sensibile al punto da poter sparare per un semplice urto, quando lo si volesse fare con intenzione richiede una determinazione conscia del peso dell’arma stessa e conoscitrice della giusta pressione da esercitare sul grilletto; la freddezza dell’ultimo minuto nel togliere la sicura essendo quest’ultima necessaria, a meno di situazioni abitudinarie di pericolo o di guerra, per la sicurezza stessa di chi la usa; la preparazione al rinculo; la bestiale voglia animale di uccidere una vita ed un odio senza più ragioni a frenare la naturale ed anche egoistica tendenza infliggere dolore. La fortuna o la sfortuna, che dir si voglia, in quanto colpire un bersaglio in un attimo di concitazione nervosa non è affatto così semplice come potrebbe sembrare.

Sono condizioni queste, obbligatorie e coincidenti, che raramente si riscontrano in persone, che non siano tutori dell’ordine o militari, psichicamente a posto. Da qui al dire, però, che chi spara ed uccide è per questa ragione un pazzo, un folle, e dunque un “non colpevole” per intervenuta, transitoria o permanente, infermità mentale ce ne corre e molto anche.

Il discorso, a mio avviso, è molto più profondo ed ha ragioni che esulano dalle singole situazioni e dalla follia intesa come patologia specifica di una mente non più sana: perciò ecco alcuni aspetti generali e propedeutici ad un atto di ordinaria follia e che portano al punto di rottura il quotidiano di una persona normale.

Innanzi tutto la società. In un mondo dove la competizione liberistica e mercantile è stata massificata ed esportata a competizione esagerata anche tra le persone, giuridiche e fisiche, ecco che lo stress da fallimento, sia esso metaforico e quindi di natura psicologica o giuridico e quindi con tutte le conseguenze civili che questo comporta, diventa tarlo a rodere e corrompere il libero arbitrio ed ogni capacità razionale di colui il quale ne fosse vittima. Vivere un fallimento, reale o supposto tale, è una di quelle esperienze che bisognerebbe vivere per comprenderle appieno. Le restrizioni dei diritti civili, le condizioni esterne che lo precedono e che ne conseguono, la riprovazione e mai una comprensione sincera, dichiarate o sottaciute, dell’intorno, la pietà e la disistima dell’intorno, la malevola e ammiccante ammirazione da malcelata invidia di chi vede in quella situazione un atto di furbizia estrema; il progressivo abbandono dell’intorno perla paura di essere infettati dalla vergogna o, peggio, per l’egoistico timore di una richiesta d’aiuto, sono tutti fattori che colpiscono a martellate quella valvola di ritegno che ha fatto del cervello di un animale quello di un uomo.

Poi la giustizia. Un esercizio nella applicazione delle leggi e nella NON APPLICAZIONE DELLE STESSE senza razionalità e senza conseguenza per alcuni e con le peggiori conseguenze per altri; la lungaggine dei tribunali a dirimere questioni delicate; la noncuranza e l’alterigia con cui vengono trattate situazioni che molto spesso vedono in campo delle vittime e non dei colpevoli; il presupposto di colpevolezza e di furbizia, mai di innocenza, con il quale si trattano, appunto, i supposti colpevoli e le presunte vittime; la non considerazione dei fattori di credito negato, di crisi di mercato, di insufficienza economica, di sacrificio e disponibilità estreme ed a prescindere, di relativo ed assoluto abbandono da parte delle istituzioni, sono la regola e non l’eccezione quando, per quelle questioni si entrasse in un tribunale. La Legge e non la giustizia non è MAI la stessa per tutti, ma si mostra sempre funzione di e ragione per e ciò a prescindere dal contesto e dal momento particolare o storico.

Quindi la politica. Dalle leggi ad personam alle assoluzioni conseguenza di un patto traditore, dalla difesa di torturatori e malfattori a provvedimenti sempre più ad sodomiam populi, passando per tutto ciò che nel mezzo e nel frattempo vi è compreso, ne consegue una visione del mondo in cui si vive che tutto è tranne che tranquillizzante e rassicurante per ognuno. Spendere per questa politica ulteriori parole non solo non è utile a nessuno, ma sarebbe per di più pleonastico in quanto è oltremodo evidente che questa situazione è accettata, forse sopportata, a volte addirittura gradita da una maggioranza succube ed inerte.

Dunque l’assassino di Milano. Egli di certo non è un folle, ma altrettanto certamente egli è un malato. Egli è certamente un colpevole, ma correi sono le stesse vittime che, pur martiri innocenti, assommano su di loro la colpa di aver accettato, subendole senza combatterle, una società, una giustizia ed una politica malate nel animo prima ancora che nel corpo materiale e con esse vittime, colpevoli sono tutti coloro che , alla faccia di ogni protesta urlata, di ogni sdegno dichiarato, di ogni post a difesa degli agnelli pasquali, delle morti cristiane da Isis, di ogni affratellamento a marò detenuti o operati, di ogni onestà e verginità dichiarata, lasciano che il PANTA REI resti l’unica filosofia di un mondo squallido e miserabile.

Questa è l’Italia, amici miei, miei correi e responsabili; questo, al pari di ogni omicida e suicida per disperazione, è il paese più vittima-colpevole di Europa; martire?; no!, io direi piuttosto, malato terminale ...

senza più nessuna speranza se non un miracolo.