… io MI accuso … - di Francesco Briganti

28.02.2016 08:48

Febbraio 1966. In questi giorni di allora. La Calabria ci accolse come meglio non si poteva; arrivammo, in una giornata di sole, calda e quasi primaverile; Nicastro ci dava un benvenuto che contribuì moltissimo a lenire la nostalgia di chi, sbalzato dai casi della vita, lasciava la terra natia per andare incontro ad un futuro che sperava migliore senza averne nessuna certezza. Dopo un viaggio di sei ore per quella Sa-Rc che, proprio in questi giorni il guelfo ghibellino, cavallo di Troia, figlio di quella Troia che sta distruggendo, dice che inaugurerà a dicembre prossimo. Da quel buffone che è senza, però, specificare che, per farlo, azzererà NOVANTACINQUE KM di cantieri ancora aperti su dei tratti di strada che, dunque, non saranno in quel periodo ancora completati.

Ragazzino di quattordici anni, non capivo un acca di politica, né mi interessava. Ero un virgulto al vento che doveva imparare a vivere, a quel punto e gioco forza, secondo usi e costumi, differenti dalla caleidoscopica variabilità dell’indole napoletana. Ho amato ed amo la Calabria come mia terra di adozione e devo ad essa ogni sfaccettatura del mio essere di oggi, ma devo a mio padre ed a mia madre, e solo a loro, la mia essenza personale.

Mia Madre. Era l’ingenuità fatta persona; credeva ad ogni cosa le si dicesse e non perché fosse stupida, ma solo perché Lei non concepiva che qualcuno avesse un qualsiasi interesse a mentire o a prendersi gioco di qualcun altro e dunque ha prestato il fianco sempre alle più grandi delusioni possibili.

Mio Padre. In via XX settembre di quella che era diventata Lamezia Terme, frutto del proprio lavoro, aveva comprato un appartamento. Allora un immobile costava all’incirca nove/dieci milioni di lire e per quanto fosse una cifra oggi ridicola, anche allora occorrevano sacrifici ed impegno per onorare quell’acquisto. Un giorno arrivò dalla ditta Felisatti di Ferrara un raccomandata indirizzata a Lui: conteneva assegni a Lui intestati per cinque milioni di lire; con quei soldi, mio padre, avrebbe coperto il mutuo e, probabilmente, glie ne sarebbero rimasti. Ma, quei soldi, non gli erano dovuti, erano solo uno sbaglio di un ragioniere distratto. Fosse stato furbo più che onesto, papà, avrebbe avuto mille ragioni, o scusanti se preferite, per trattenerli, per fare i fatti propri e, poi, con comodo, quando avesse avuto tempo e disponibilità, e volendo, restituirli. Non fu così e quella casa venne venduta.

Anni dopo, quando a gestire l’azienda di famiglia ero io, in un periodo molto difficile e di crisi come quella odierna vennero due persone ad offrirmi venti milioni affinche facessi per loro da intermediario per l’acquisto di macchinari che, mi fecero capire, non avrebbero pagato: il tutto senza alcun rischio per me, né penale né amministrativo essendo io solo un intermediario, e dunque mi trovai al cospetto di denaro facile che, tra l’altro, avrebbe allievato di tantissimo una posizione finanziari se non drammatica di certo difficile. Rifiutai, ancorché non fosse semplice dati i personaggi, ma ne ebbi, da loro per primi, e i due sono ancora vivi e vegeti, rispetto e considerazione, quale che fosse, per me, il valore attribuito a quelle due parole.

Mio figlio è giornalista professionista, iscritto all’albo. Ha scritto per entrambi i più importanti giornali toscani, La Nazione ed Il Tirreno, e da entrambi è stato esonerato: non perché fosse inadeguato, ma perché in entrambi gli incarichi egli ha cercato di battersi contro l’obbrobrio di chi pubblicava appropriandosi del testo degli articoli e contro lo SCHIFO di chi pagava con sei euro lorde ad articolo un opera di ingegno. Mio figlio, adesso, ha un blog, scrive lo stesso a gratis, ma almeno nessuno si arricchisce alle sue spalle.

Quattro persone, tre episodi per chiarire una indole e per evidenziare una visione della vita non a santificarsi né a farsene vanto, ma solo per rendere evidente una natura familiare tale da farci annoverare, ne siamo delusi, ma non pentiti, tra i fessi che non hanno capito un cazzo di questomondo infame; ma sono anche tre episodi che dovrebbero rendere ragione a chi non capisce il perché si scelga di combattere dalla parte dei deboli; il perché si trovi volgare e squallido presentare un debole ed un diseredato, migrante o italiano che fosse, con lo stereotipo del profittatore cafone, tamarro e becero sfruttatore; il perché si trovi addirittura annichilente, quando non fosse anche ed oltremodo espressione di vizio e di devianza, negare dei diritti altrui presentando come satira l’immaginare due persone, quale che fosse il loro sesso, differente o uguale, a fottersene di un bimbo al punto tale di fare sesso esplicito incuranti dello stesso.

La satira è tanto più efficace quanto più essa colpisce senza diventare serva delle peggiori espressioni; tanto più essa colpisca i potenti, tanto più essa sappia essere bilaterale e figlia di pensiero libero sì, ma non derivato da razzismi, quale che ne fosse la genesi e l’indirizzo; tanto più essa riuscisse a indurre riflessione e non acuisse convincimenti sbagliati; tanto più essa fosse irridente quanto si vuole, ma rispettosa delle diversità e delle minoranze. Quanto allo sciopero … ognuno reagisce alle proprie delusioni a modo suo. E questo è, non essendo alcuno obbligato a nulla. Tanto meno …

a leggere i miei sproloqui.