… ITACA … - di Francesco Briganti

18.01.2015 09:06

Nuvole. Nere. Basse. Cupe. Un orizzonte appena visibile a chiudere, lontanissimo, una distesa grigia ed immobile quasi fosse cemento a coprire una valle di lacrime. Spira, leggera e fredda, una brezza da ovest; lassù, altissimi e distratti aquiloni alati veleggiano incuranti del mondo di sotto: volteggiano, si inseguono, scendono giù in picchiata e cabrano all’impazzata disconoscendo ogni legge della fisica ed ogni valenza aerodinamica. Kamikaze alla ricerca di cibo si tuffano improvvisi nella distesa di cemento, la fendono come punte di diamante, ne risalgono con il becco pieno a ritornare verso nidi, prossimi o lontani, dove cuccioli affamati attendono di crescere una vita senza sapere né quale, né dove, né perché. Vivono!. Vivono in un’attesa di un battito d’ali, continuazione ed anticipo del precedente e del prossimo e del prossimo ancora, nel mentre che, lentamente, macchie di schiuma candida allentano la stretta del grigio profondo e minaccioso del mare tra lido ed orizzonte.

La brezza partorisce, con un sibilo acuto, suo figlio Maestrale; onde rabbiose si alzano e si rincorrono; scogli attoniti di una costa scoscesa frangono flutti da occidente; mulinelli di rena si rincorrono tra picchiettii di lacrime di pioggia a cadere, sparute ed incerte, sulla sabbia frammentata da piccole dune spostate dal vento; onde sulla spiaggia a fare il paio ed il continuo con quelle finalmente a lambire la riva, sempre più in dentro, con sempre più forza, con quell’audacia animale della natura a dire : “ … non ti sbagliare sono io che comando … “.

Beccheggia, frastornata e sorpresa, una barca imprudente; vira per mettere il vento alle spalle lasciando veloce una scia a precedere e ad inseguire onde sempre più alte e più bianche; capisce o sa quando è arrivato il momento di cercare riparo in un porto sicuro. Appare, scompare ed eccola riapparire di nuovo; la forza dell’uomo contro quelle congiunte del vento e del mare mentre le nuvole sormontano oramai vicine e troppo cariche di gravoso liquido per resistere al bisogno di liberarsi, ovunque e comunque e sia chi sia colui o coloro che ne subiranno il peso.

Cade, decisa e violenta, come un pianto dirotto ed inconsolabile sulla testa dell’uomo e su tutto il resto e su ogni cosa a fare tutt’uno del mare e del cielo con l’ultimo gabbiano che scappa verso quel cucciolo cinguettante e l’uomo che prega di riuscire a vincere per sé e per gli altri che in lui hanno visto e vedono l’ultima risorsa. Un lampo serpeggia verso la poppa mancandola di poco mentre nel grigio diffuso si spande un tuono profondo a dare un la dissonante, come un diapason stonato, al motore che arranca nello sforzo di sfuggire quel vento di nord ovest.

Onde!. Una dietro l’altra, l’una sempre più vicina alla precedente con la seguente a rincorrerla, altezzosa e fiera ed ignara di quella che la segue rabbiosa ed altera e di quella dopo e di quella dopo ancora; alte, sempre più alte; spumose e sempre più numerose avvicinandosi allontanano sempre di più quel orizzonte stantio oramai quasi sparito alla vista e, forse, morente su questi lidi mai più tranquilli e statici, ma con la speranza di un nuovo inizio dopo la tempesta immanente.

Pochi metri alla riva; l’uomo si erge in tutto il proprio sforzo a mantenere la prua diritta verso terra; le onde sommergono, ma spingono aiutano un motore esausto per lo sforzo il cui rombo appena si sente nel vento che fischia, urla, ulula la propria rabbia non più trattenuta. La chiglia striscia sulle pietre del fondo scendendo la china di un’ultima duna d’acqua che termina la propria corsa sbattendo la prua sulla rena non senza aver attentato per l’ultima volta alle spalle dell’uomo.

E’ fradicio; gocce di sudore si mischiano alle gocce di pioggia ed all’acqua salata del mare, ma è dolce il sapore che se ne ricava; il palato gusta il piacere della vittoria; immensa la fatica, durissima la lotta, grandissime le speranze di chi non attendeva altro se non il suo arrivo. Poggia, finalmente, i piedi sulla rena bagnata, si china, bacia la sabbia della terra che vuole libera e diversa; si volge verso il mare in tempesta, verso quelle nuvole nere che ancora cercano di trasformare il giorno in una notte profonda; urla sino a superare il frastuono combinato del mare del vento della pioggia scrosciante: “ … tornerà il sereno mondo … " dice sicuro e fiero "

... ALEXIS E’ APPRODATO!”.