Je so’ pazz’ - di Francesco Briganti

05.01.2015 09:19

Era la sigla della mia trasmissione sulle frequenze di Radio Piana Lametina negli anni in cui ancora credevo che a me ed a quelli come me era consentito ambire a cambiare il mondo. Erano gli anni in cui il piombo delle P38 aveva lasciato segni cruenti ed indelebili ed erano quelli in cui questo paese con uno scatto di orgoglio avrebbe potuto saltare sul carro della sapienza e percorrere le vie della modernità e della prosperità civile. Non fu fatto; furono strumentalizzate le vite di giovani votati all’errore, li si sfruttò, a destra come a sinistra, per mutare la rotta di un paese verso quei lidi cui oggi stiamo approdando. Erano gli anni di Pino Daniele a trionfare con il proprio sound napoletano in Italia e nel Mondo. Erano gli anni in cui colui che avesse voluto superare la stronzata della discriminazione più becera anche soltanto ascoltando distrattamente i testi delle sue canzoni si sarebbe reso conto di quanto inutile fossero quegli slogan e quei distinguo che ancora oggi tuonano dissonanti e paranoici sulle bocche di certi razzisti di merda.

Come è possibile ignorare le parole di “ Amara Terra mia” oppure di “ Chi ten’ ‘o mare” senza sentirsi degli inutili imbecilli; come si può far finta di niente ascoltando “Napule è” o “ putesse essere allero” ed ognuna di tutte quelle cantate con quel blues mediterraneo tipico delle melodie di Pino?; chiunque abbia anche solo un minimo di sensibilità umanoide non può non lasciarsi andare ai sogni più romantici e melanconici senza, però ed al contempo, sentirsi pronto alle sfide della vita armato di quel coraggio battagliero che solo un inno condiviso riesce ad imprimere e ad esprimere.

Le mie righe non sono un “coccodrillo” preordinato e preparato per la morte di un VIP famoso; sono le parole che nascono dal cuore per la morte di un amico, di un compagno di giovinezza, di qualcuno con cui si è condivisa una strada di crescita e di maturazione; sono la coscienza della vecchiaia, quella che viene lentamente a maturare quando attorno a te cadono come frutti troppo maturi ad una ad una quelle persone che, come ingenuamente pensavi, come te ritenevi immortali. Sono la consapevolezza del fatto che ad un certo punto cominci a sentirti un sopravvissuto e che sempre di meno sono quelli per cui provare quella straziante malinconia che stacca, ogni volta, un pezzo di cuore.

Non si augura mai la morte a nessuno, io sono per il motto: “ … nessuno tocchi caino …”, ma penso mi sia consentito chiedermi e chiedere:

“… perché sono sempre i migliori quelli che se ne vanno?”.