… Je so’ pazz’ … - di Francesco Briganti

04.10.2013 05:21

La prima volta che mi sono reso conto di essere un folle è stata in realtà la prima volta che tutto ero stato tranne che pazzo; era una mattina di sciopero generale, noi eravamo studenti di liceo, riuniti in assemblea e discutevamo su perché e sulle conseguenze, in termini di risultati concreti ottenibili, di quella nostra azione. D’un tratto entrò un professore, uno di quelli a cui come “compagno” davamo del tu, e come e fosse la cosa più normale del mondo interruppe l’assemblea e ci invitò, ma era più un disposizione, a votare una risoluzione già preparata e quindi a lasciar perdere il resto. Io fui tra quelli che si alzarono e se ne andarono. Quell’anno, ma per mio assoluto rifiuto nei confronti dell’autorità, essendomi in ogni modo rifiutato ad ogni interrogazione, fui, con ragione, bocciato. Solo per la cronaca, dirò, che l’anno dopo diedi 4° e 5° da privatista rifiutandomi sostenendo l’esame di quella materia, era una lingua straniera, solo ed in perfetto italiano: presi la maturità con 37/60mi. Chi mi conosce personalmente, leggendomi, sa che non mi invento nulla. La seconda volta che sono stato un pazzo è successa quella volta che, in una 128 coupè, tornando da una cena tra amici, alcuni dei quali erano in macchina con me, tutti abbastanza bevuti, per vincere la gara con l’altra macchina ho preso a forte velocità una strada contro mano, alcuni di quegli amici non sono più saliti in un auto con me alla guida ed io devo ringraziare Iddio se posso raccontarlo. Una delle tante altre volte in cui la mia follia è inopportunamente venuta alla luce, è stato quando, nel 1971, sono stato tra gli organizzatori di uno sciopero contro la mensa tra i militari di una caserma punitiva, noi eravamo di leva, quale era la D. Chiesa di Riva del Garda. Sono stato un pazzo ogni volta che il mio cuore si è innamorato fino all’ultima e definitiva. A ripensarci oggi, devo dire che nella mia vita di follie, credo di poter dire tutte istintivamente razionali, ne ho fatte molte, forse troppe, ma ognuna di esse, nel bene e nel male, mi ha reso quello che sono oggi: essere pensante, moderatamente anarchico, comunista convinto, amante del mondo per intimo sentire e, ciò nonostante, pessimista e cinico per fatti di vita. Qualcuno ha scritto una volta che nella follia c’è la verità, che nella follia c’è la poesia, che nella follia c’è il progredire della specie umana; qualcuno della follia ha persino scritto un elogio; non si può dire che siano dogmi, non sono delle rivelazioni divine, ma di certo c’è che nell’acqua stagnante e mai mossa non ci sono tracce di vita: non c’è ossigeno e quindi la morte impera. Questo popolo è MORTO!. Questo popolo non ha più ossigeno, questo popolo stagna la sua situazione e non riesce a prendere quel refolo di vento che interromperebbe la bonaccia; questo popolo ha smesso di essere folle!. Eppure, questo popolo ha dato i natali a quei pazzi che conquistarono il mondo; ha visto nascere i folli che riunirono l’Italia, che la liberarono dalla dittatura, che aprirono alla conoscenza dell’atomo, che hanno dato meraviglia e innovazioni in ogni campo dello scibile umano. Questo popolo è stato il vero prediletto da Dio, almeno da quel Dio che ne ha fatto la sua dimora mondiale anche se non è tra i suoi componenti che ne ha fatto nascere il figlio. Non lasciatevi ingannare; non è follia quella che agita ed anima i nostri governanti; non è pazzia quella spudoratezza nell’inverosimile, nell’inverecondo, nella abiezione che manifestano alcuni tra di essi; non è esaltazione portata all’eccesso quella patologia schizofrenica che fa affermare tutto ed il suo contrario a distanza di poco quando non, addirittura, contemporaneamente e non è da manicomio quel supino disinteresse che ci vede lasciarci, poco a poco, per intervenuta inedia e per definitiva acquiescenza, sotterrare sotto una valanga a cui si crede di non potersi opporre; questi, invece, sono i sintomi di una patologia terminale da troppa saggezza, dove per saggezza si deve intendere un mal inteso interpretare del rispetto per l’autorità costituita, per la socialità interpersonale, per lo stato, per i governi, per le singole istituzioni: tutti e tutte, troppo piene/i di sé per essere folli al punto da ridiventare specchio di quella missione per cui erano nate/i : il bene del popolo!. Popolo che, ai nostri giorni, invece, soffoca sotto il peso di ciò che è spacciato per “BENE DEL PAESE”.