“ Katharsis ” - di Francesco Briganti

07.03.2015 07:11

Passeggiavano, ormai da un paio d’ore!. Girovagando quasi senza meta per le strade incuranti di un obiettivo preciso, fermandosi di tanto in tanto ad osservare una vetrina, discutevano ora del prezzo degli articoli di moda ora della bellezza dei monili offerti ora della filosofia dei romani che sembrava specchiarsi nelle esposizioni alimentari. Il mai abbastanza celebrato ponentino soffiava leggero e profumato lisciando i capelli di lei mentre disperdeva nell’aria il fumo delle sigarette di lui. Qualche volta mano nella mano, qualche volta appena poco distanti sentivano l’uno la vicinanza dell’altro e, incrociando gli sguardi, parlando del più e del meno, si scambiavano lettere d’amore ad ondate telepatiche di sentimenti: non raro, qualche vago rossore memore di frenesie recenti imporporava il viso di ciascuno affiorando improvvisamente.

Fendevano la folla immersi nel loro parlare quasi incuranti delle altrui presenze pur coscienti di un mondo loro circostante che sembrava girare ad un ritmo di vita diverso nei modi e nei toni: gli approdi improvvisi, ma quasi a scadere d’orologio, ora ad un edicola, ora per ammirare un palazzo, un monumento, un angolo di panorama, servivano prevalentemente ad uscire da quella apnea giaculatoria che ne falsava la voce e ne affannava il respiro.

Percorrevano via del Babbuino ora diretti a piazza di Spagna con l’intenzione di arrivare e sedersi sugli scalini di Trinità dei Monti, lasciarsi scaldare dal sole primaverile mentre, soli nella folla, avrebbero continuato a raccontarsi storie a volte palesemente inventate delle quali alla fine ridere insieme, a volte profondamente vissute da ciascuno in altri tempi ed in altri mondi prima di quella unione ad un destino scelto e diventato comune…….

Single e di bello aspetto, alta senza esserlo eccessivamente, occhi scuri e penetranti, sfoggiava dei bei capelli castani e lunghi a far da cornice ad un viso di donna vissuta al quale alcune rughe di espressione concedevano una maturità a volte in contrasto con la sua espressione di collegiale in gita di piacere. Donna in carriera, aveva saputo prendere dalla vita le opportunità che questa le offriva riuscendo a realizzarsi nel proprio lavoro fino a raggiungere posizioni di responsabilità e gestione di alcune aree del paese. Donna in carriera, aveva trascurato ogni aspetto sentimentale della vita e pur godendone si era ritrovata alle soglie dei quaranta anni ad assaporare successi da non poter gioiosamente dividere con nessuno che fosse al suo fianco quelle rare ormai e neanche più cercate serate in cui riusciva a tornare a casa quale essere che si rifugia nella propria tana privata.

Quasi due metri, grosso, ormai in sovrappeso evidente, un bagaglio di esperienze alcune delle quali pregnanti e segnanti in maniera tragica una vita vissuta all’insegna del “ se è fattibile si faccia”, sposato di un matrimonio routinante, lui mostrava tutto il fascino del tenebroso pur senza essere particolarmente attraente. Uomo libero e solitario per scelta, viveva le sue giornate cercando sempre nuovi traguardi in un trascorrere di vita che non ammetteva fiducia nel mondo e negli altri. Profondamente marchiato da quella che considerava la sua più grossa delusione: una moglie con priorità diverse dalle sue, era riuscito a far di quella delusione e delle sue esperienze una filosofia di vita che lo rendeva specchio a tutto ciò che gli succedeva intorno. Uomo libero e solitario per scelta, l’aveva incontrata anni addietro per motivi di lavoro. Uno spazio fugace nel tempo di ognuno, ad un casello d’autostrada, tra un appuntamento ed un altro, per stabilire un approccio a forse interessi comuni.

Algida nel suo tailleur pantaloni a trama scozzese era scesa dalla sua alfa con la tipica espressione del “ Deus ex machina “ che si degna al genere umano. Figura aliena e a lui istintivamente antipatica le aveva stretto la mano cercando di imprimere una forza che in qualche modo desse una scossa a quell’aria superba e scostante.

Ne aveva ricevuto una stretta decisa e del tutto preparata. L’incontro, durato ben oltre il tempo previsto seduti ai sedili di pietra di un bar improvvisato nelle campagne calabresi, restò fissato nella mente di entrambi come il marchio di un ranchero sulla pelle di un cavallo….

….. il pomeriggio si inoltrava sempre più verso la sera mentre il sole scendeva gradualmente verso la linea dell’orizzonte. Il loro girovagare, arrestatosi per un po’ a Trinità dei monti era poi ripreso fino alla più vicina stazione della metropolitana: tornare in albergo, prepararsi per la sera. Sembrava non ci fosse altro futuro che l’immediato, quello che avrebbero fatto di lì a poco, di li a qualche ora. Una cena in un locale tipico, magari una puntata a teatro, un giro a via Veneto e poi una notte d’amore fino al mattino quando, con destinazioni diverse, si sarebbero separati già con la mente al prossimo incontro: ignorandone la clandestinità, il provvisorio, e godendone, invece, della spontaneità, della spensieratezza, della soddisfazione che entrambi ne riportavano; immagazzinando tutto ciò che potevano fino alla volta successiva. Era stato così sin dalla prima volta che avevano deciso di passare del tempo insieme e per ogni volta che questo era successo. Nessuna nube velava il cielo di quelle giornate in cui nessuno dei due era più se stesso e ciascuno dei due era di nuovo se stesso o, forse, quello che avrebbe voluto essere, se solo la vita li avesse fatti incontrare un po’ prima.

La stazione della metro brulicava di gente in attesa, ognuno perso dietro i suoi casi personali ed affatto attento a ciò che intorno succedeva. Vicinissimi, più di quanto la calca giustificasse, sfiorandosi maliziosamente e di continuo, attesero due convogli prima di salire su di un terzo relativamente più vivibile dei precedenti. La chiusura degli uffici passata da poco, raggruppava in quel vagone diverse tipologie di viaggiatori. Burocrati, operai, qualche mamma felice di aver ripreso la sua discendenza da chissà quale parente o asilo, frotte di ragazzi dirette verso mete le più svariate. Perso tra gli altri anche un idraulico carico di attrezzi da lavoro.

…. improvvisamente cessando l’artificiosa simbiosi, lei si dirige verso una donna non più giovanissima che ha in braccio una splendida bimba di pochi mesi. Avendo cura che la corta gonna non vada a scoprirle troppo le gambe affusolate, le si accovaccia davanti e carezza il visino con fare dolce e delicato, poi con un gesto, quasi a chiedere una concessione impossibile, tende le braccia a che la donna le passi la bimba: la stringe poi al petto avvicinandone il visino al proprio…la bacia… le sussurra parole d’amore…. Un lungo istante di tenerezza quindi la restituisce alla mamma e lisciandosi la gonna, con occhi luccicanti, torna al fianco del compagno appena cosciente dell’evolversi del momento, decisamente incurante dello sguardo degli uomini presenti attratti dalle sue movenze d’un tratto più femminili e seducenti …

L’operosità discreta degli inservienti dell’albergo aveva trasformato il caos della stanza, mattutino, personale e soggettivamente rivelatore di trascorsi di vita, nell’ anonimo ordine di una camera d’albergo oggettivamente desolato e desolante, quasi squallido nell’essere perennemente uguale a ciascuna delle altre migliaia di camere sparse per il mondo.

Vi entrarono, discosti, lontano anni luce l’una dall’altro, persi entrambi in mondi e pensieri diversi.

“ Vado in bagno a fare una doccia “ disse lui parlando alle suppellettili circostanti improvvisamente conscio di un cambiamento di umori e di situazioni e preso da un imbarazzo che ancora non realizzava concretamente. “ Ok “ gli rispose salendo sul letto e quasi ignorandolo.

Si accovacciò sulle gambe ripiegandole sotto di sé e, mentre lacrime involontarie le scendevano lungo le guance, nascose la faccia tra le mani a spremere fuori pensieri nuovi e deflagranti e urgenti e ossessivi che, forse ovattati da sempre in angoli inesplorati della psiche, ne uscivano adesso rompendone i confini e si trasformavano, secondo dopo secondo, da laghetti tranquilli in fiumi tumultuosi e tracimanti ad inondare ere piene di cose geneticamente non più importanti.

I capelli umidi dichiaravano l’uso di un panno per asciugarli. Il grosso telo di spugna lo avvolgeva in vita a stento riuscendo a cingere tutto il suo perimetro. Il viso, il torace, le gambe, rossi dallo sfregamento sembravano riflettere l’emotività che aveva caratterizzato la lunga sessione di acqua bollente. Si fermò sulla soglia del bagno e la guardò. Volgeva le spalle alla porta, rannicchiata in una posizione fetale. Le gambe ed il sedere, scoperti dalla gonna risalita a livelli più alti, gli procurarono un brivido di desiderio, lasciando cadere il telo di spugna andò a sdraiarsi dietro di lei assecondandone la posizione.

…immobile e silenziosa lascia che le si accarezzino le gambe, sente che il desiderio dell’uomo che la cinge si manifesta e cresce assieme al suo; ne asseconda i movimenti, lasciando che i brividi del suo corpo combattano e scaccino altri pensieri che non siano quelli dettati dalla sua pelle, dai suoi seni, dal suo sesso… ogni cosa come animaai di vita propria… indipendente… . Vuole lasciarsi andare, deve lasciarsi andare, la vita è fatta di scelte e lei le sue le ha fatte da tempo ormai…, ma… no…, non può…, non deve, peggio… non vuole…. Si irrigidisce, si scosta, apre gli occhi a guardarlo: lo ama… lo ferma… gli carezza la faccia….

“ Devo chiederti un favore “ gli disse con tono fermo di chi conosce e teme il definitivo di una risposta… quale che sia “ Aiutami ad avere un bambino…. , non voglio un marito…, non voglio nemmeno un padre per mio figlio…, voglio solo un bambino….” continuò e concluse continuando a guardarlo negli occhi.

“ Vuoi …!, non vuoi…! “ realizzò di esser nudo, si alzò di scatto… cercando qualcosa con cui coprirsi, disorientato, irritato, frustrato.

Un tuono improvviso, inatteso, incredulo fece vibrare i vetri alla finestra. Lontano verso il mare il tempo stava cambiando e l’eco ne portava le avvisaglie sulla città ormai immersa nella frenesia della sera inoltrata. Fronte al vetro, quasi a raffreddare una febbre improvvisa, lui guardava al di fuori, alla strada sottostante, alla gente rilassata che riempiva i marciapiedi diretta alla vita quale che fosse, ovunque fosse. Si girò a guardarla, era bella, discinta pur vestita, i capelli smossi ed il viso ancora arrossato. Femmina, risplendente di una luce dolce e di uno sguardo attento ma aperto. In attesa ma timorosa e pur decisa, speranzosa ma non questuante…

“ Come sarebbe bello…. “ pensò lui e per un attimo guardò nel futuro possibile, all’unisono lampeggiò un futuro di conseguenze e vite stravolte, di responsabilità nuove e vecchie che si incrociavano e si scontravano, di addii certi e di dolori provati e provocati… “ No… “ le ripose sacrificando al dio della ragione “ Non posso farlo!” Girò le spalle al suo viso per non vedere un labbro tremare ed uno sguardo indurirsi lentamente mentre, restando vestita, si girava dall’altra parte a chiudere il mondo al di fuori di sé, fuori dai suoi desideri, dalle sue speranze. Ad escludere quell’uomo che pur aveva creduto d’amare.

Nel parcheggio le auto attendevano, solitarie e testimoni, una promessa di pioggia da nuvole improvvise .

Accarezzandole il viso ed i capelli poggia teneramente le labbra sulle sue: “ Hai un buon sapore di vaniglia “ le dice sorridendole “ fai attenzione nel guidare… ti prego” “ Anche tu…” gli risponde arrossendo.

“ Buon fortuna Principessa…” sussurra a sé stesso salendo in macchina.

Le due automobili si allontanarono in direzioni opposte ciascuna conscia di essere alla fine di una strada comune.