… la coop sei tu … - di Francesco Briganti

24.09.2013 18:45

Non ha le gambe!. O, per meglio dire, dalle ginocchia in giù delle protesi fanno bella mostra di sé mentre sta seduto sulla panchina al di fuori del supermercato. Sta lì, non chiede nulla, non protende la mano, vestito decentemente ha anche una certa fierezza nello sguardo; occhi scuri, capelli tagliati corti ed una età indefinita tra i trentacinque ed i quarantenni, piove o ci sia il sole attende lo scorrere del giorno. Non chiede mai nulla, ma s’attarda volentieri a discorrere con te quando gli rivolgi la parola; sa ascoltare, sa di politica e di sport, capisci che ha una certa istruzione; le mani sempre in grembo lo aiutano a volte quando si infervora nel parlare: si vedono i segni dei calli, e la sua stretta è forte quando lo saluti prima di sollevarti anche tu da quella panchina per tornartene ai casi, belli o brutti che siano, di casa tua. Lui non chiede mai nulla, ma se gli protendi una moneta o una banconota lui ti sorride, ringrazia schernendosi e l’accetta. Alla fine della giornata, mentre un macchina, una vecchia Opel rossa, con alla guida una donna con al fianco una bimba l’aspetta, lui si alza e un po’ strascicando quelle sue gambe, appoggiandosi ad un bastone, entra nel supermercato e fa la spesa. Siamo entrati in confidenza da un po’ di tempo e, per questo conosco la sua storia che, per la verità, lui non ama raccontare. E’ albanese e lavorava in un cantiere edile. Una sera nel tornare a casa fu investito da un auto che non si fermò nemmeno per sincerarsi che fosse vivo o morto. Il lavoro era in nero, il pirata non fu rintracciato e da allora son passati oltre dieci anni. Ha, credo, una pensione minima, e la moglie, la signora della Opel rossa, lavora come donna ad ore, centocinquanta, cent’ottanta euro la settimana ed è oro che cola; la bimba lasciata ai vicini quando la mamma è impegnata. “Perché non torni a casa tua?” gli chiesi una volta; “ Perché, qui … “ mi rispose nel suo strano italiano “ … la povertà è ancora una condizione dignitosa.” Poi sorrise come se non parlasse di sé e mi disse del suo passare il tempo leggendo quei libri che non aveva potuto permettersi da ragazzo. Ogni tanto gliene porto uno e sono particolarmente contento quando mi riesce di soddisfare una sua particolare richiesta. L’ultimo che gli ho portato è “ La fine è il mio inizio “ di Tiziano Terzani. So già che ne faremo argomento di una delle prossime chiacchierate. “La povertà qui è ancora una condizione dignitosa”. Questa affermazione mi torna ogni tanto alla mente e mi costringe ad immaginare da quale inferno, quale che sia la loro provenienza, queste persone vengano via per riuscire a sopportare, quasi fosse la regola, ogni tipo di mortificazione: è, questa, una umiliazione faticosa e continua che pur affrontano a testa alta quando, e capita sempre più spesso, ne sono costretti. E’ vero, a volte alcuni delinquono; altri credono di essere nel paese di bengodi o scoprono, semplicemente, di voler comportarsi come vedono fare agli altri. Questi altri, però, nove volte su dieci sono italiani che, per primi, danno il cattivo esempio e in più li trattano con un fastidio e con un alterigia che non hanno basi se non intese come dall’alto di una condizione creduta di arrivo e che invece, in special modo dati i tempi, sembra essere una linea di partenza verso quella stessa condizione di precarietà e di povertà. Se questo paese ed i suoi abitanti avessero la cultura del passato e il rispetto per la memoria storica, il nostro ieri da emigranti, da minatori, muratori ed operai sparsi un po’ da per tutto nel mondo, dovrebbe renderci molto più comprensivi e tolleranti. Non ci sono bandiere verdi o estremiste che tengano; il “fai agli altri quello che vorresti gli altri facessero a te” non è solo un invito cristiano, ma dovrebbe essere un principio di vita e, comunque ed a prescindere, una cautela perché può sempre capitare che “ GLI ALTRI SI DIVENTI NOI!”.