La filosofia del … “ diritto “ - di Francesco Briganti
Essere capaci di mettere in fila parole riuscendo a non caratterizzarle in un contesto pieno di strafalcioni grammaticali o sintattici troppo evidenti non fa diventare chi le assembla uno scrittore. Farlo sfruttando i propri studi e/o le proprie conoscenze ed anzi servendosene nell’esprimersi, ostentando la propria cultura a sfavore di una ampia comprensione altrui, può rendere all’immagine di chi scrive un’aurea di importanza e di profondità, ma essa resta tale e fine a sé stessa e solo per coloro che, non per loro colpa, avendo un altro tipo di istruzione o una cultura meno profonda, vi si trovano di fronte disorientati e in difficoltà oggettive. L’essere di quell’insieme, comunque, non rende uno scritto e uno scrivente, entrambi o separatamente, di conseguenza interessanti, pregni di contenuti o in qualche modo utili a qualcuno. Quando, poi, colui che scrive lo facesse con la convinzione del primus super pares e con la certezza di enunciare verità bibliche, allora dalla furbizia manieristica si passerebbe alla malafede transitando per il raggiro e, qualche volta, per lo sfottò, forse, involontario verso gli altri o il sé senza nemmeno accorgersene.
Una barzelletta napoletana racconta che ad un esame di guida, ad un camorrista, avendogli mostrato un incrocio a quattro vie con altrettante auto ferme al rispettivo stop, veniva chiesto quale delle auto sarebbe passata per prima. Senza un solo attimo di titubanza il camorrista pare rispondesse : “ … la mia, qual è!?”.
Viviamo in un mondo surreale nel quale, ogni giorno, a migliaia, a milioni, si esprimono concetti, si argomentano accadimenti ed ipotesi, si esprimono opinioni e si dibatte in luoghi virtuali e non lasciandosi smarrire, tutti, in chiacchiere inutili e senza costrutto alcuno: nessuna aderenza e/o corrispondenza con la realtà e le verità vere del momento, nessuna fattibilità concreta che possa in qualche modo contribuire ad una risoluzione effettiva dei problemi esistenti.
Nei parlamenti, nelle stanze segrete, in quei consessi “ad usum delphini” retti e diretti da quei grandi vecchi di cui da sempre si favoleggia, si emettono leggi, regolamenti, sentenze che regolano discipline, comportamenti, usi e costumi; alcune di queste assurgono al rango di principi di vita come quelle che santificano le carte costituzionali; altre, meno drastiche e più aleatorie, che sanciscono i trattati di pace e/o di non belligeranza o le alleanze, impongono accordi tra comunità viciniori fino a spingersi e giungere a quelle disposizioni che, concordate nell’insieme dei molti, fanno nascere unioni tra genti diverse per storia, cultura, genìa, professioni, passato e presente nella speranza, tutta umana, che possano, poi, avere un futuro in comune. Tutte, comunque ed a prescindere, sempre disattese, tradite, ignorate in quanto non c’è mai un vero ed unico interesse comune, ma esiste sempre, nell’interesse generale, qualche interesse super pares di cui tener conto ed al quale piegare tutto il resto.
Il problema della specie “ HOMO “ non è la teoria, di cui l’uomo è messia, maestro e discepolo, ma è la sua incapacità a trasformarla in pratica. Da qui i riferimenti nel titolo ed alla barzelletta che identificano e sono presenti in questo scritto.
Il “ DIRITTO ”. Con questa parola si possono intendere due cose: quell’insieme di normative che nel loro complesso articolano e regolano la vita dei membri di una comunità, quale che sia e, quella soggettivazione in ciascuno di noi di ogni comportamento un po’ da furbi e da prepotenti che ci spinge ad ottenere nel più breve tempo e con lo sforzo minore il miglior risultato possibile. Tralascio i miliardi di esempi che si potrebbero portare a conferma. Appare ad ognuno evidente che le due facce non dovrebbero, comunque non possono, coesistere sulla stessa medaglia essendo incompatibili ed inconciliabili tra loro. Eppure è ciò che in ogni istante, in ogni occasione, in ogni periodo storico quelli prima di noi e, poi, ciascuno di noi, con cinica malizia cosciente o con ingenua naturalità, fa ogni giorno.
La filosofia del “ diritto” nella seconda accezione del termine, quella dei furbi e dei prepotenti, caratterizza ANCHE la “ pratica “ della comunità europea la quale, in teoria, ha stabilito una comunione monetaria e di intenti che dovrebbe favorire lo sviluppo complessivo, ma in realtà agisce a vantaggio di alcuni ed a sfavore di tutti gli altri avendo, QUALCUNO, ognuno vi sostituisca il soggetto che preferisce, ben capito da subito chi era il proprietario della macchina che si “ prendeva dirittamente ” la precedenza.
Nello scrivere, io non faccio eccezioni; parlo di cose e di fatti cercando di farlo restando nella misura delle mie conoscenze e delle mie incertezze; cerco di esprimere opinioni ed ipotesi tentando di non sparare sentenze o arrogarmi diritti di verità rivelate; contribuisco nel mio piccolo ad incrementare il mare magnum di parole, dette, scritte, sentite e lette che, forse, generano la confusione generale e la conseguente inazione, ma continuo nella speranza che esse possano servire a spingere al pensiero, alla riflessione ed all’autocoscienza perché, COLUI CHE PENSA IN PROPRIO, non potrà mai essere asservito e reso schiavo da chi che sia, da un regime o da un sistema e, prima o poi, dovrà rendersi conto che al pensiero deve, DEVE, sempre seguire l’AZIONE ed allora per i furbi di ogni genere i tempi …
SARANNO FINITI!.