... la mia rondine andata via ... - di Francesco Briganti

31.05.2016 09:38

C'è un angolo, verso nord, lì dove la spiaggia si confonde con gli scogli a perdersi nel mare, dal quale la costa si inerpica violentemente verso il cielo. Venti, forse trenta metri di parete scoscesa dove gabbiani acrobati hanno fatto un nido in bilico sul precipizio. Vi atterranno e ripartono con mille evoluzioni per cibare implumi pulcini insaziabili o per slanciarsi verso voli avventurosi per chi li osservasse romantico, temuti da chi, sotto il pelo dell'acqua ne sente con terrore il pericolo.

Ai piedi dell'erta, poco più che baracca coraggiosamente a sostenersi su tavole di legno corroso dalla salsedine, a mo' di castello privato, una sorta di abitazione funge da domus aurea per chi avesse deciso di passare gli ultimi anni della propria vita inseguendo quel sogno hemingwaiano del vecchio e del mare in una solitudine scelta come corollario coronamento di una vita fastidiata e fastidiosa.

Poche le suppellettili; un letto giaciglio su altre tavole a sostenere una schiena i cui anni pesano su di ogni vertebra, un paio di sedie sconnesse, dei mattoni sistemati a guisa di focolare dove accendere un fuoco per gustarsi una sera si e l'altra pure un brodetto dei pesci catturati durante le ore di ozio in meditazione, mentre un cervello contento, a tratti felice, ritorna sempre meno alle cose, ai chi, lasciati a correre persi lungo le strade che conducono ad una follia collettiva dalla quel nessuno sembra voler fuggire.

Nell'alba dichiaratasi ad un giorno prepotente un mare, oggi incazzato, pare voglia ricordare a tutto ed ognuno la sua genesi oceanica e lì, lontano verso l'orizzonte ancora preda della notte che fugge via, appena lascia che qualche pinna minacciosa o alcuni delfini temerari diano segno di sè in una caccia reciproca e ad inseguire prede ultimo gradino di una scala alimentare quasi fossero cittadini di un popolo asserviti ad una casta di carnivori dominanti.

Una barca malmessa dagli anni, strenuo regalo di un amico di un tempo, scarroccia poco più giù del bagnasciuga, prigioniera della sagola che la lega ad un grosso masso e schiava di onde che vorrebbero strapparla al suo improvvisato molo per sperderla lontano alla deriva in quel blu che, profondo e misterioso, come ogni memoria, incute lo stesso timore e lo stesso rispetto.

Un vento che rinforza momento dopo momento scuote le tende a fungere da barriera al mondo esterno alla capanna; gli occhi si schiudono lentamente nella penombra a farsi sempre più chiara asservendosi contemporaneamente a delle ossa ognuna delle quali grida la propria disperazione ad ogni tentato movimento; scuotersi ed alzarsi è più un automatismo involontario che scelta precisa di vivere ancora per un altro giorno. La barba è folta ed incolta, i capelli sempre più radi, la pelle, arsa dal sole, è mora come quella di un figlio di un impero che fu pur lasciando ancora immaginare l'essenza di un bianco smorto e stanco dei tempi lasciati ad un passato remoto.

Una vecchia napoletana, vezzo nostalgico dei bar di Partenope, viene capovolta in attesa di quel nettare profumato ad incuriosire ragni e piccoli insetti, coinquilini oramai abituali, di un divenire giornaliero che da sogno fantastico è divenuto reale esistenza e godimento atteso a quel traguardo finale cui tutti arrivano: i più senza curarsi del come non conoscendo il quando.

Accoglie, il profumo dello iodio sfratto in milioni di atomi odorosi ad ogni frangersi delle onde; lontanissime oltre il declivio della lunga lingua di terra che a sud si insinua nel blu, le luci dell'ultimo residuo di civiltà ancora disponibile si spengono una ad una, mentre piccole come formiche, imbarcazioni coraggiose si spingono verso il largo.

E' ora di andare; il mio mondo, questo mondo di favola tanto sognato richiede un presente ...

sia esso un risveglio o, finalmente, una realtà avverata!.