... la nebbia che respiro ormai si dirada perché ... - di Francesco Briganti

25.10.2015 10:05

Quel rosa splendente a fare da contraltare a spruzzi di grigio chiaro appena velato; squarci di azzurro in un blu in via di riposo ed in corsa verso quell'occidente ad addormentarsi; un est, appena sopra le colline a convincersi che il suo turno è arrivato e la notte decisa a volgersi verso terre lontane: il cielo si rischiara nell'ora solare di una eccezionale alba ottobrina; sono le cinque di mattina di una domenica tiepida nella sua umida essenza.

Si va!; incontro ad un altro giorno con il cuore un po' più leggero. Oggi è festa, almeno c'è una ragione per chi non trova lavoro; oggi, almeno per oggi, quel colui si sente uguale agli altri, può smettere pensieri angoscianti e fingere che la vita, questa vita, questo festivo, questa domenica, sia rilassato motivo di quiete, il suo fare da ponte tra una settimana penosa ed un'altra a venire, può per qualche ora essere dimenticato.

Domani, domani qualcuno farà un miracolo; i problemi spariranno, i disonesti riscatteranno le loro colpe, i politici ritroveranno la via di un'etica giusta e bene fattiva per tutti ed ognuno. Dal palcoscenico della tragedia essi scenderanno per arrivare al proscenio della favola figlia della speranza e, dunque, in barba ad ogni contraddizione possibile, allo schiocco preciso del tempo di una battuta comica, il mondo, l'intero universo, comincerà a girare nel verso giusto e così, anche delle parvenue arricchite come la Littizzetto, potranno esprimere una satira libera, libera di non dare fastidio: le sarà spiegato cosa si deve dire per il bene del paese e cosa no.

E mentre il cielo vira ad un chiarore sempre più da giorno inoltrato, nel mentre che oltre quell'orizzonte ancora ammantato di nero c'è chi vola verso sogni simili con la speranza di avere in sorte qualche burlesco redentore a raddrizzare ogni banana storta di questo mondo, sulle nostre teste scoppia il caleidoscopio di colori di un autunno che avanza.

C'è un rosso sempre più sbiadito che non riconoscerebbe sé stesso nemmeno in presenza di un esame del sangue a contarne i globuli; c'è un rosso sempre più verso il bianco del fiore catto-capitalista che persevera nel proprio gioco inglobando, fagocitando, "siamesizzandosi" con allergeni putridi e virulenti che hanno fatto più danni di una bomba atomica; c'è un grigio sparuto troppo nuovo vecchio centrodestra per decidersi di avere anche solo un qualche piccolo inutile significato d'esistenza.

C'è il nero!. quel nero trasformista ed arlecchino, cangiante come tutti i camaleonti in natura. Esso è trasversale, ha tentacoli offerti in affitto ad ognuno giacché ciascuno ha il proprio fascista nascosto nell'animo: c'è chi l'ha con il nero, chi con il mussulmano o con il gay, chi con il meridionale e chi con lo slavo, chi con il vicino di condominio e chi con sé stesso; tutti, non riuscendo ad ammettersi la propria stantia vigliacca incapacità a reagire deve trovare un colpevole e, dunque, lo trova!; ed a quel punto non contano più il chi, il perché, il quando o il dove.

Lui si è assolto!.

Ed ecco che finalmente spunta il sole. Nel suo riverbero mattutino la collina ai suoi piedi diventa opaca, scurisce il verde dei suoi alberi in attesa che l'astro salendo le ridia quello splendore cromatico che solo pochi istanti prima, per quanto offuscato da una nebbia incapace, aveva allargato il cuore a guardarla.

Sa. la collina, che quel nero improvviso è solo passeggero, una volta distrutta quella notte in fuga verso altri lidi, sarà facile ricostruire tutti i colori che insieme renderanno gioia agli occhi, al cuore ed all'anima e pazienza se qualcuno soffrirà di mal di pancia da troppo olio di ricino, in fondo, il tutto sarà fatto solo per il suo bene e, con l'andare del tempo, anche quel " chi " comprenderà che è meglio una gabbia dorata che una libertà inutile a sé stessa.

E' il cielo di una domenica di ottobre; è il cielo di una domenica italiana; è il cielo di un popolo che ancora crede nei messia d'acchito, nelle favole e nei principi azzurri, nel potere risolutivo di un insulto lanciato a gran voce, nell'onestà del dire a nascondere tutte ed ogni disonestà nel fare prossimo e/o futuro.

Ed in quel cielo italiano un sole oramai già alto e dimentico di un altro cielo e di un altro ottobre, quello sotto il quale sbandieravano, uniti e diversi, vessilli gioiosi a festeggiare la propria vittoria su ogni sfumatura di nero, quel sole dicevo, rincorre la notte oramai oltre l'orizzonte e sfugge da quella ancora lontana a venire alle sue spalle. Quel sole piange lacrime di luce; egli conosce la inutile tristezza di chi sa di riscaldare ...

un popolo di stupidi!.