… la quiete dopo la tempesta … o prima? - di Francesco Briganti
E’ sabato!; e come vola il tempo, solo sette giorni fa era ancora sabato e già dopodomani sarà un’altra settimana: è passato l’inverno in baleno e data la situazione tra poco riavremo l’autunno senza avere coscienza di un estate che per quei pochi che ancora potranno goderne sarà forse l’ultima prima di un risveglio sin qui troppo sognato o prima di un ulteriore freddo sperando non sia quello di una “tempesta perfetta”.
La primavera ha iniziato il proprio percorso e, per me, rifare quel chilometro che mi separa dal bar di Tiziana, poggiandomi su di un ginocchio che protesta tutti i suoi sessant’anni; stamane, dopo un periodo di assenza forzata, non è stato facile.
Abito una zona di campagna industrializzata; qualche capannone qui e là, la maggior parte chiusa per intervenuta crisi, e case sparse con un poco di giardino intorno, qualche agglomerato colonico ristrutturato a dimora, quando naif per ricchi emigrati, per altro mai visti, quando maturo frutto di una vita di sacrifici; alcune con la paura delle forche caudine di una Equistrozzitalia troppo invadente e, comunque, incurante dei come e/o dei perché del suo essere incombente: fare cassa l’imperativo di chi ha bisogno per sostenersi; peccato che questo “chi” non è solo il semplice cittadino, ma è sempre chi quel cittadino ha sfruttato ed affamato e come un cane che tenta di mordersi la coda così il cappio si stringe mentre ogni volta più traballante diventa lo scanno su cui poggiano i piedi dei soliti noti.
E’ una splendida giornata: Uccellini cinguettano dai rami, qualche primigenia rondine scivola contenta a caccia di moscerini mentre al di sopra, sornione, vigila un falco pellegrino. Scoiattoli guardinghi ai piedi di querce secolari invase da rampicanti saprofiti cercano ghiande e nocciole sparse e disperse in compagnia delle prime lucertole a scaldarsi al sole sempre più deciso di passare dal tiepido al caldo.
Un vicino passeggia, cane al guinzaglio e incrociandoti lancia un “ … questo Renzi, ci abbuffa di chiacchiere e, gira e rigira, finora “ ‘e un s’è visto di nulla …”; non riesco a trattenermi dal dirgli : “ … eppure e te l’avevo detto di votare Civati …, ma tu no!, capoccione toscano, tu preferisci ora sacramentare una maremma maiala piuttosto che ammettere che avevo ragione e che dire al mondo che c’era una forza di sinistra che voleva mostrarsi e dar conto di sé non era poi un’idea così sbagliata …”: “ Beh!, telo dico ora, te tu, avevi ragione. Ma stavolta ti sto a sentì, alle prossime elezione sto col greco …”. Passa oltre ad inseguire più che a passeggiare quel cane che lo tira e trascina verso odori e luoghi che né io né lui riusciamo a percepire.
Mi avvio zoppicando verso casa; lungo la strada abita la Maria, la nonna di tutti. Mi saluta da dietro i vetri della sua finestra; novant’anni e per lei non è ancora abbastanza caldo per sedersi al terrazzo. Sola con un marito invalido accetta che a turno le si vada a fare la spesa, le si invada la casa per quattro chiacchiere di compagnia, le si raccontino un po’ di dispiaceri o gioie improvvise o gia sperimentate. Partecipa, ascolta, consiglia, racconta. Ogni tanto volge lo sguardo al consorte con quegli occhi pieni di un affetto tanto grande quanto può essere la paura di perdere qualcuno cui si sta insieme da una vita. Occhi neri e profondi, a volte scompigliati capelli candidi, una veste a fiori sempre linda e ben stirata: la freschezza di una vecchiaia sazia di vita, ma non stanca di continuare; un esempio di resistenza e di dignitoso orgoglio nel suo essere compagna in e di vecchie ripetute, troppo spesso considerate inutili ed irripetibili, battaglie. Da lei, ma soprattutto da quei giovani che immemori di chi la ha preceduti, aspettano il grande fratello e non si rendono conto che la vita oggi è più una lotta senza quartiere non essendo mai stata un semplice gioco senza frontiere.
Doug sente il mio passo strascicato ed iniziare ad abbaiare lamentando di essere stato abbandonato; non capisce e non spiega quel mio andare insicuro; non capisce e non si spiega quel torto che gli ho fatto, eppure gli ho raccontato del mio malessere e del mio disagio attuale, ma come quei nostri stramaledetti politici, anche lui prescinde dalle ragioni seguendone altre che nulla hanno a che fare con il mio bene attuale; mi sgrida, quasi intimandomi, di fare quello che secondo lui è giusto; di dargli quello che lui pretende gli sia dia; quello cha a lui, da anni oramai abituato da me, spetta per diritto quasi di legge promulgata o, addirittura costituzionale; di fare quello che il ben comune, mio e suo, imporrebbe, poco importa se da quel fare resterebbero vantaggi solo per lui mentre sempre di più si aggraverebbe la situazione del mio ginocchio.
Lui non capisce, ma chi vuole e può, capisce comunque, anche se continua a far finta di nulla.
L’uscio, la casa, le finestre aperte spalancate sul mondo.
Ed allora buon sabato mondo, io mi siedo un po’ qui a respirare a pieni polmoni. Lassù la scia di un aereo certamente diretto verso posti migliori di questo.