… la selva oscura … - di Francesco Briganti

21.09.2014 08:08

Piove, inesorabilmente, indefessamente quasi che quel dio dei cieli abbia deciso, ancora una volta, di sommergere un mondo che lo ha tradito e che per questo, da lui è stato maledetto.

La televisione blatera da ore; canzoni, musica, frastuoni vari e parole, parole, parole. Tutto diventa nenia quando il cervello è da un’altra parte; quando il pensiero corre senza padroni lungo sentieri sconosciuti alla ragione ed alla guida cosciente.
Fuori cade una pioggia violenta e fitta; gocce senza pietà sferzano con cattiveria le cime degli alberi; fanno compagnia ad un vento assassino che scuote ogni cosa, i lampioni vacillano e le lampade appese sbattono la loro luminescenza fiondandosi da una parte e dall’altra ad illuminare qualche pozzanghera a strabordare mentre auto indifese annegano, come gli uomini, lentamente nella marea che sale di una tempesta in crescendo.
Il cane, tremebondo nel rimbombo dei tuoni, guaisce cautamente preda com’è di quella paura animale e genetica che non riesce a tenere fuori dalla propria cuccia.
Io, fronte al vetro, sempre più freddo ed umido, calmo in questo quell’arsura e quella vena febbrile che non risulta al termometro, ma che sale cattiva dal profondo e giunge a rizzare i capelli per poi scendere sadica lungo la schiena paralizzando i muscoli, asciugando la saliva facendo saltare il cuore in un battito imprevisto che non ti aspetti e che temi neanche fosse l’ultimo.
E’ un senso di vuoto; è una mancanza; è quella certezza che non ha più certezze se non quella di avere sbagliato tutto, di non aver saputo godere di quello che c’era di tutto ciò che in un attimo, così come è arrivato, altrettanto se ne può andare.
Guardi fuori all’acqua che cade e tremi di un tremito incontrollato che pian piano diventa padrone e non più figlio di uno stato d’animo malinconico e sconsolato.

La finestra.
La apri e cerchi nel silenzio della notte il respiro di quei ricordi che non vogliono tornare, quelle atmosfere e quelle sensazioni che adesso s’imbiancano mentre ti spengono come un sangue che scorre dalle vene e debilita, goccia dopo goccia dopo goccia.
Poi, scoppia il dolore. Fa il paio con la paura, si accoppia all’ansia ed al terrore della solitudine, alla compagnia diventata abitudine senza la quale tutto il mondo non ha più senso, nessuno ha più importanza, niente ti soddisferà mai più.
Le nuvole.
Nere come il cuore dello spazio profondo, corrono in cielo rendendoti quell’invida di sempre al tuo essere troppo statico, troppo responsabile, troppo legato a convenzioni e leggi di cui nessuna, mai, hai potuto dire fosse stata scritta per te o per quelli che come te tentano un vivere fatto di dignità ed orgoglio comunque ignorati quando non calpestati e derisi.
La rabbia.
Quella dell’impotenza, quella della frustrazione, quella della rassegnazione che verrà, giacché tu sai che verrà, quand’anche tu non volessi, quand’anche tu sapessi già da prima che tutto ciò che ha un inizio avrà, prima o poi, una fine; quella del “che ti piaccia o meno” lasciandoti sempre più convinto che, qualunque cosa tu faccia, il mondo, cieco, muto, sordo ad ogni tua speranza, ad ogni tuo sogno, ad ogni tua illusione, comunque andrà come avrà deciso di andare senza minimamente badare a chi calpesta, a chi mortifica, a chi uccide.

Gli occhi gialli di un gufo, ti ricambiano uno sguardo sorpreso e triste nel momento in cui si accorge di non essere il solo a vegliare in questa notte di tregenda; sbatte le palpebre e bubola quel suo verso lungo, monocorde, lento, ritmato ad accompagnare ogni cosa mentre si flette e piange qualcosa che, sparita con la luce del sole, sei certo oramai lontana verso altri lidi, oltre i tuoi confini, avendo attraversato quell’orizzonte al di là del quale l’hai spinta con la tua stupida esagerata, esasperata voglia di un tutto, egoistico ed egocentrico, del tutto alieno ad ogni considerazione alla voglia, alle voglie di quello che era il fuori da te.
Il vento, l’acqua sempre più freddi gelano il vetro che ghiaccia la fronte che intorpidisce la fonte di ogni pensiero, sempre più stanco, sempre più amorfo e grigio, sconsolatamente, desolatamente grigio.
Ed alla fine capisci.
Ombra scura nell’ombra appena impallidita dalla luce nascente; sdrucita dai miliardi di parole che l’hanno vilipesa ed offesa; stranita dalla confusione, dallo strazio di una continua divisione, dalla noia dell’inutile e del falso ciascuno vuoto di concetti e gravido di fili sottili, ognuno barriera invalicabile e mai punto d’unione; strappata dal suo garrire spavalda al soffio di una idea nel mentre che è allordata dallo sperdersi lontano … disperata e, quasi, beffarda.
Una bandiera rossa, amore mio e mai domo, listata
dal lutto della compagna stupidità !.

… e piove, inesorabilmente, indefessamente quasi che un dio, quel dio della passione, abbia deciso, ancora una volta, di sommergere un mondo che lo ha tradito e che per questo, da lui è stato maledetto.