… la sindrome di Stoccolma … - di Francesco Briganti

28.07.2015 15:35

“ Si parla di fallimento dello Stato come di cosa ovvia. Oggi, è “quasi” toccato ai Greci, domani chissà. È un concetto sconvolgente, che contraddice le categorie del diritto pubblico formatesi intorno all’idea dello Stato. Esso poteva contrarre debiti che doveva onorare. Ma poteva farlo secondo la sostenibilità dei suoi conti. Non era un contraente come tutti gli altri. Incorreva, sì, in crisi finanziarie che lo mettevano in difficoltà. Ma aveva, per definizione, il diritto all’ultima parola. Poteva, ad esempio, aumentare il prelievo fiscale, ridurre o “consolidare” il debito, oppure stampare carta moneta: la zecca era organo vitale dello Stato, tanto quanto l’esercito. Come tutte le costruzioni umane, anche questa poteva disintegrarsi e venire alla fine. Era il “dio in terra”, ma pur sempre un “dio mortale”, secondo l’espressione di Thomas Hobbes. Tuttavia, le ragioni della sua morte erano tutte di diritto pubblico: lotte intestine, o sconfitte in guerra. Non erano ragioni di diritto commerciale, cioè di diritto privato. Se oggi diciamo che lo Stato può fallire, è perché il suo attributo fondamentale — la sovranità — è venuto a mancare. Di fronte a lui si erge un potere che non solo lo può condizionare, ma lo può spodestare. Lo Stato china la testa di fronte a una nuova sovranità, la sovranità dei creditori. … (G. Zagrebelsky; Repubblica; oggi. Ndr.)

Ogni uomo è un esemplare unico !. Se si accetta questo assioma, diventa una conseguenza quasi banale che unica sia ciascuna delle sue manifestazioni; per quanto altrettanto banale sarà affermare che ognuna di esse potrà inquadrarsi in un insieme di altre simili, nessuna potrà mai dirsi esattamente uguale alle altre. Questa specificità accomunandosi al raziocinio, alla capacità di immaginare un futuro più o meno prossimo ed alla fantasia creativa di quello stesso futuro, rende un insieme primigenio e soggettivo che individua in ogni essere umano quel “qualcosa in più” che si stacca dal resto del parco animale.

Dove per animale si intenda tutto ciò che nasce, si muove, agisce e muore sulla faccia della terra o, quale ne sia la morfologia, nel resto dell’universo.

Dunque l’uomo è unico ed uniche le sue manifestazioni; tra queste il “ PIACERE ”. Quest’ultimo può essere considerato in una forma attiva ed in una passiva, si cerca infatti di piacere o di dare piacere o lo si ricerca come appagamento egoistico a soddisfare determinate esigenze del proprio io. Voler piacere agli altri o arrecare piacere ed il loro esatto contrario sono delle espressioni soggettive funzione ognuna certo della indole genetica di ciascuno, ma, per questo, le loro differenti gradazioni possono, poi, farsi dipendere da situazioni ambientali, geografiche, sociali, economiche, religiose, sessuali; sono, cioè, direttamente proporzionali al mondo esterno, saranno in un qualche modo codificate da questo al punto tale da diventare oggetto di una più generale classificazione funzione ultima di una maggioranza numericamente significativa.

Viceversa la ricerca del proprio piacere è solo espressione del proprio “essere”; è strettamente legata alla genesi cromosomica di ognuno, è sviluppo psichico di quella genesi, è saturazione, al massimo grado possibile, di ogni capacità recettiva di ciascuno dei cinque sensi con l’aggiunta di quel sesto senso, posseduto da tutti, racchiuso nel trittico: raziocinio, fantasia, immaginazione.

La santità, morale e materiale, è una ricerca aulica del piacere; la malignità è la sua forma opposta, infima e perversa; tra queste due antitetici estremi si possono comprendere tutti gli altri “piacere” ognuno dei quali avrà a proprio volta espressioni massime e minime quali la sublimazione a godimento o la mortificazione consolatoria del “ meglio così che peggio ”. Godimento e mortificazione, quindi l’espressione massima o minima di un soggettivo piacere personale possono, però, dipendere, esse sì, dalle influenze del mondo esterno.

Ad un lettore distratto potrebbe sembrare esserci un contrasto tra una ricerca del piacere funzione di una genetica soggettiva ed un godimento o una mortificazione dipendenti dall’intorno; in realtà così non è giacché si può provare puro piacere, ad esempio, per un rapporto sessuale, per una discussione, per una funzione religiosa, per una partecipazione politica, ma pur godendone, quando si fosse nei pressi dei loro punti più alti, si può comunque sentire l’amaro gusto della disapprovazione, del contrasto più acceso, dell’avversione ignorante ed ignobile, della incredulità e/o dello scherno. E dicasi lo stesso per la mortificazione che in tutti quei casi si accentua e può generare paranoie.

Mi piace a questo punto citare dei miei personalissimi, genetici piaceri. Io provo piacere davanti ad un corpo femminile, davanti ad un tramonto sul mare, nello scrivere, nel immergermi in discussioni accese ed intelligenti, nel sentirmi appagato dopo una giornata intensa; e provo piacere anche tutte quelle volte che nell’accontentarmi o nel rassegnarmi a qualcosa sono costretto a ripetere a me stesso quel consolatorio: “ beh …, meglio così che peggio!”.

Ultimamente mi sto riconoscendo una ricerca di un piacere sadico che so non essere di tutti; sto assistendo ad una svolta mefitica del mia genesi cromosomica; mi sto rendendo conto che più le cose in “questopaesedelcazzo”, scusatemi ma quando scappa, scappa!, vanno male più io godo e me la rido. Certo, rimane in bocca l’amaro di uno sfascio ad aumentare gli effetti deleteri su di ognuno, ma è controbilanciato dal consapevolezza che l’ignavia e la vigliaccheria meritano tutto questo e del peggio ancora.

Perciò, nel mentre mi riallaccio a quanto giustamente scritto dal noto costituzionalista di Repubblica e dopo aver sproloquiato come mio solito, io capisco e rendo quanto, secondo me, in “questopaesedelcazzo” il potere sia riuscito ad istillare nei propri paesani una ricerca del piacere che riconosce sé stesso nella sofferenza e nella subornazione alle più e sempre crescenti privazioni e costrizioni. Tutto ciò ingenera nei governanti la certezza di essere al sicuro da ogni tipo di ribellione e sovversione: gli italiani provano piacere nello star male, godono nel indignarsi e nel protestare, ma lo fanno solo perché non comprendono più la propria condizione e dunque …

neanche sanno di essersi già arresi!