… la storia infinita … - di Francesco Briganti

25.02.2015 09:20

La valle continuava ad est direttamente nel litorale sabbioso del fiume ed era delimitata a nord ed a sud da rilievi collinari che terminavano a strapiombo direttamente sull'acqua. Sembrava un oasi di mondo isolata dal tutto. Ad ovest, infatti, un'erta improvvisa ne chiudeva l'ultimo lato: mille metri di roccia scoscesa ne ostacolavano l'accesso e la vita al suo interno diveniva così, con poche influenze esterne. Il vento sibilando tra gli alberi e le case si accordava con il cristallino scorrere dell'acqua e solo di tanto in tanto giungeva l'eco lontana della risacca di quel mare in cui si perdeva il fiume.

Nell'anno del Signore 2999, all'approssimarsi del quarto millennio, una insolita quanto crescente eccitazione aveva animato lo storico consesso che vi era insediato. Nella memoria dei tempi si erano perdute le vere ragioni della celebrazione cui ognuno si preparava, e per i più il rito della Sacra Primaria Elezione non era altro se non una settimana di canti, balli, pranzi e cene luculliane da vivere nella più completa spensieratezza, ognuno dimentico di ogni tipo di inibizioni e convenzioni sociali. Quel anno poi, alcune voci incontrollate e non confermate, avevano reso l'attesa ancora più eccitante. Le voci, fatte circolare ad arte, davano per sicura l'ascesa all'olimpo degli eletti di un giovane baldanzoso: questi si era presentato alla comunità come un innovatore ad apportare cambiamenti e migliorie a ciò che sembrava ripetuto e stanco. Mai come questa volta il rito si presentava come una pura e semplice formalità tanto che erano state vissute quasi con fastidio le poche alternative che cercavano un loro spazio. Alla fine anche queste, più o meno spontaneamente, avevano finito quasi per accettare la euforia generale e la propria sconfitta.

Altra aria era stata respirata in un palazzo al lato opposto della valle. Lì, una frettolosa ed insistente attività muoveva ognuno nel suo compito ed il Funzionario religioso di turno vigilava dall'alto del suo soppalco mobile che nessuno trascurasse le proprie mansioni. Ad ogni giro completo, passando davanti la porta dietro la quale era riunito il consiglio si attardava nella speranza che qualche barlume di discorso arrivasse fino alle sue orecchie. Lui e tutti quelli del suo rango, pur conoscendo il progetto nelle linee generali, non avevano alcuna conoscenza dei particolari ed anche per loro, ogni giorno che passava, significava salire di un gradino la scala della tensione emotiva. Anche perché, nel palazzo, voci non confermate ripetevano di funzionari antichi tra coloro che avrebbero seguito il baldanzoso giovine nella sua ascesa all'Olimpo e ciascuno di essi sperava di essere il prescelto.

Nella sala grande di quel palazzo delle feste stanziavano in maniera permanente il vecchio gran sacerdote ed il suo cerchio magico: studiando, rivedendo calcoli, riesaminando ognuno dei milioni, forse miliardi di particolari e di componenti che altrove andavano a comporre il mosaico generale. Gli altri a turno davano il cambio, ricontrollando i resoconti che giungevano ad ogni nuova fase completata di modo che, ciascun passaggio, fosse verificato e contribuisse ad accorciare il cammino verso la meta. Anche nel palazzo l'attesa diventava di momento in momento più eccitata. Voci sommesse, mezze frasi, panorami quasi troppo sfrontati dettavano una incertezza comunque strisciante; quel giovine signore, infatti, mandava segnali contrastanti e tardava a comunicare a quei pigmalioni l’elenco del proprio seguito. Alcuni sostenevano che non avesse ancora deciso e dai suoi più immediati collaboratori, era filtrato il sospetto che lui, figlio di una idea vergine alla nascita, avesse qualche tentennamento a dare corso ad una unione più blasfema che impossibile.

Nelle proprie stanze, il giovine, negli stessi momenti, guardava verso oriente e la distanza dalla riva del fiume era tale che egli sentiva appena il fluire dell'acqua. La vista, però, era magnifica tanto che, spesso e volentieri negli ultimi tempi, aveva trascorso più di qualche minuto nella contemplazione del panorama e sempre più frequentemente si ritrovava a dover tornare indietro da un inconsapevole fantasticare. Lui, a differenza di tutti gli altri, era atteso esecutore di ogni aspetto del progetto e la cosa a volte gli era sembrata di una pesantezza insopportabile. Da un po’ di tempo poi, in alcune notti, incubi tremendi avevano preso a gelargli le ossa: e, sì, era vero, gli capitava di pensare che, forse, sarebbe stato meglio lasciare tutto invariato. A questo proposito aveva cominciato ad organizzare dei preparativi alternativi che di sicuro non avrebbero deluso le aspettative del popolino, ma che altrettanto sicuramente gli avrebbero procurato l’odio, la guerra, di colui al quale aveva chiesto il primo aiuto.

Costui infatti era proprio colui che sin dal primo istante in cui il giovine gli si era approcciato aveva capito quanto grande ne fosse la potenzialità in un mondo di imbecilli ed ingenui paesani; perciò lo aveva guidato e spinto, da DIETRO LE QUINTE SENZA MAI PALESARSI APERTAMENTE, per poi e quando il giovine aveva raggiunto il gradino più alto, spingerlo a quel incarico da cui lui era stato scacciato così perentoriamente. Ed il ragazzo ne aveva saputo seguire le direttive, i sotterfugi, mostrandosi deciso e rassicurante, ma colpendo duro ogni volta che gli era servito senza tenere in alcun conto ogni e tutte le parole di cui si era servito e che avevano incantato ed illuso i più. Aveva cominciato in maniera saliente con il disgregare le organizzazioni esistenti. Si era servito di tutti e di ognuno, usandoli e abbandonandoli senza alcuna remora. Altri ancora, collaboratori lo erano stati senza neanche avvedersene e in tutti, comunque, era riuscita ad inculcare un dipendenza tanto suggestiva quanto fittizia.

Certo, ora, di tanto in tanto, gli veniva da chiedersi se la via scelta fosse quella giusta, ma questo accadeva sempre più di rado e sempre più velocemente riusciva a scacciare il dubbio. La sua coscienza, la sua capacità di discernimento si assoggettavano e si identificavano ormai col Progetto e niente era più importante. L'olimpo, quello olimpo di cui tanto si favoleggiava tra il popolino lui lo stava toccando con mano, aveva avuto frequentazioni con gli dei e da allora niente gli era apparso più come prima. Persino la passione che l'aveva spinto tra i creatori mediatici gli sembrava piccola e meschina. Piccola come la valle e meschina come la vita che vi si conduceva. Ambiva alle stelle, che c'era di male in questo?.

Ma allora perché quelle titubanze, quelle assenze improvvise dalla realtà, quelle manifeste insicurezze di cui i suoi più stretti collaboratori si erano accorti? . Era colpa forse di quella piccola minoranza di gretti individui che si erano intestarditi a voler sobillare il popolino o di quella sottile invidia che, pure, sentiva serpeggiare intorno a sé? . Oppure era perché sapeva che, tra i molti che l'attorniavano, i più speravano di trarre solo e tutto il vantaggio possibile. "So quello che faccio" - si ripeteva, comunque e di continuo, senza darsi una risposta.

E così, quasi senza accorgersene, adesso era lui alla guida e la macchina che aveva costruito reggeva bene la strada. In corso d’opera, poi, lui la correggeva, la perfezionava, collaudava e ricollaudava tante di quelle volte che, da questo punto di vista, non temeva sorprese. Né temeva il mondo, in fondo nuovo, nel quale oramai navigava da esperto: anche fuori dai suoi confini era riuscito a crearsi delle amicizie, degli agganci, delle protezioni: era certo, il rango cui era arrivato, per gli altri punto di arrivo di una vita tesa al servizio della comunità, sarebbe stato, per lui, solo il primo gradino di una scala di cui non riusciva a vedere la cima.

Era stata effettivamente la più bella celebrazione che la comunità avesse mai festeggiato. Ci furono fuochi d'artificio, canti, balli, e pranzi e cene. I discorsi, le elegie, gli inni al suo nome si susseguirono ininterrottamente per giorni e notti: tutti, ma proprio tutti, corsero a congratularsi. Tutti, ma proprio tutti, vollero stringergli la mano, dirgli una parola. Tutti, ma proprio tutti, gli batterono confidenzialmente, un po’ troppo forse, una mano sulla spalla. La gioia di essere riuscito a realizzare il proprio progetto sommerse tra le altre cose anche un pizzico di malinconica nostalgia per la vita e la terra che stava per abbandonare.

Una splendida mattina di sole lo aveva visto salutare ancora una volta la folla accalcata nello spiazzo a ridosso del fiume. La banda aveva suonato allegra delle canzonette piene di folklore e tutte le mani si erano agitate festose. Il cerimoniale prevedeva che il velivolo, una volta in volo, avrebbe sorvolato lo spiazzo per godere del tributo dovuto al sacro Messia; un grande striscione ancora arrotolato era, all'uopo, sorretto da una parte degli astanti. I motori rombarono, i flap si erano abbassati e quasi come il carro di Icaro il velivolo si era alzato andando incontro al sole. Ricordò la folla ondeggiare e la scritta prendere lentamente forma:

" Lunga vita all’Unto dagli Dei "

E mentre la valle ed il fiume erano sparite lentamente alle sue spalle spingendolo incontro al avvenire l’essere lì ora non era che …

un cammino solo all'inizio.